Quando la "corrida" si faceva anche da noi

Rimini

SANTARCANGELO. Se in un discorso si accostano le parole arena e toro, si pensa alla Spagna e alle sue cruente corride. La corsa dei tori – questo indica alla lettera il termine corrida – era una pratica diffusa anche in Italia, abolita definitivamente con un decreto del 1940. I combattimenti taurini, introdotti da Giulio Cesare nel I secolo a. C., costituivano nello Stato pontificio un divertimento per il popolo che assisteva alla giostra dei tori. Fino agli anni Venti del secolo scorso spettacoli del genere in Italia non mancarono: i veneziani cacciavano i bovini in campo San Polo e i romani allo stadio nazionale fascista, senza considerare le molte corride che un po’ ovunque registravano il tutto esaurito.

Anche in terra di Romagna i santarcangiolesi mettevano alla prova la bravura dei propri cani in un violento assalto ai buoi. Alcuni documenti e la cronaca di un impiegato comunale di Santarcangelo testimoniano questa impetuosa corsa al toro, svolta sino al 1828 nel borgo Malmignati, oggi rappresentato dalle vie don Minzoni e Cavour che, ormai quasi due secoli fa, venivano chiuse alle due estremità con dei palchi per gli spettatori. La gente con un editto cittadino vietò il ripetersi di questa barbara usanza che si svolgeva nel periodo di Carnevale. A metà dell’improvvisata arena era collocato un ampio tino, unico riparo per i contadini-toreri che sguinzagliavano contro i possenti animali dei cani addestrati ad afferrare i tori per le orecchie cercando di fermarli.

Il popolo, che assisteva anche dalle finestre e dai balconi che si affacciavano sulla lunga piazza, era interessato alla prestazione dei cani, premiando al termine con duecento lire l’esemplare che tra tutti era risultato il migliore. Spesso i cani erano feriti mortalmente e la loro tragica fine determinò la ferma condanna santarcangiolese dell’inumano spettacolo. Così viene descritta l’ultima Caccia al Toro del nostro circondario, durante il Carnevale del 1828, Carnevale interrotto dalla morte del papa Leone XII, a causa della quale furono aboliti i divertimenti e chiusi anche tutti i Teatri. Al Papa defunto i Romani dedicarono la seguente satira: «Tre sbagli facesti, Padre Santo, accettare il papato e viver tanto, morir di Carnevale per esser pianto».

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