«Italiani, non ripetete gli errori dei francesi con gli immigrati»

Doppio appuntamento in Romagna con Tahar Ben Jelloun: giovedì 16 a Ravenna, a Palazzo dei Congressi (ore 18), e venerdì 17 a Forlì, all’Auditorium Cassa dei Risparmi (ore 17). Lo scrittore e giornalista marocchino, partendo dal suo ultimo libro, “Il terrorismo spiegato ai nostri figli”, presenterà il punto di vista di un intellettuale nel dibattito che sembra oggi mettere di fronte alle paure dell’Occidente l’Islam e le forme della sua radicalizzazione. Jelloun del resto è anche l’autore del pluripremiato “Il razzismo spiegato a mia figlia”.
Vent’anni dopo, tra guerre dichiarate e non dichiarate che si combattono in tutto il mondo, nuove forme di terrorismo e la guerra che l’Isis combatte contro l’Occidente, sembra quasi di vedere le conseguenze di una profonda incapacità di affrontare radicalmente questo tema. Davanti a un mondo in cui molte certezze sono saltate, e i cui confini, paradossalmente, si sono ristretti come effetto della paura, Ben Jelloun cerca quindi di rispondere proprio ai giovani, lui che quando nel 1971 fu costretto a emigrare a Parigi, conseguì un dottorato in Psichiatria sociale sulla confusione mentale degli immigrati ospedalizzati.

A Ravenna Jelloun dialoga con Farian Sabahi, giornalista e docente dell’Università di Torino, mentre in mattinata incontra gli studenti delle scuole superiori insieme a Matteo Cavezzali. A Forlì, invece, nell’ambito degli “Incontri con l’autore” della Fondazione Cassa dei Risparmi, sarà Chiara Elefante, prorettore dell’Università di Bologna, a porre allo scrittore le domande che forse anche tanti giovani vorrebbero porgli. Qualcuna gliela poniamo anche noi.

Lei si occupa da tempo di spiegare ai giovani cosa significhino concetti islam, terrorismo, tolleranza, paura. Perché?


«Mi rivolgo ai giovani perché il loro spirito non è ancora contaminato dai pregiudizi e dai preconcetti degli adulti. Un giovane è ricettivo nei confronti di ogni tipo di apprendimento: la violenza e il fanatismo come il rispetto, il diritto, la bellezza, l’idea della parità e dell’uguaglianza, il coraggio di difendere la giustizia e il valore del vivere insieme. Tutto dipende dalla scuola e dalla sua impronta pedagogica ed è per questo che gli insegnanti dovrebbe essere i primi a nutrire la convinzione di questa loro “missione”, che dovrebbe essere però meglio riconosciuta e anche remunerata».

Lei parla ai giovani di altri giovani, quelli delle periferie, quelli che non si sono, o non sono mai stati, integrati. Di quei giovani “martiri” nei quali il fascino romantico della bella morte si sovrappone all’idea di una vendetta contro un mondo che non li vuole. Ma quali responsabilità hanno i Paesi accoglienti?


«È importate parlare ai ragazzi italiani di altri giovani, coetanei, che non hanno le stesse possibilità che la vita offre invece loro. Quando si è figli di immigrati, destinati a un’esistenza povera in abitazioni degradate, vittime di razzismo o comunque di un rifiuto, esistono rischi seri di deviare verso la delinquenza. Dopo qualche anno, poi, non è raro che dei fanatici approfittino di questa deriva spingendo i giovani all’odio e al desiderio di rivincita. È importante allora sapere come altri giovani possano trovarsi esposti, quasi senza accorgersene, alla tragedia della jihad. Chi recluta le nuove leve del terrorismo parla logicamente un linguaggio nuovo e appropriato a questo disagio: dice loro che hanno fallito nella vita fin a quel momento, che l’Occidente ateo ha cancellato Dio e, inoltre, che è il materialismo la vera forza che domina in Europa. Viene proposta loro quindi una vita migliore, ottenuta attraverso una morte che li porterà “direttamente in paradiso”. E i giovani credono a questi discorsi perché sono fragili psicologicamente e nutrono un desiderio di vendetta nei confronti dei Paesi che, a loro parere, li hanno maltrattati».

Giulietto Chiesa, oltre vent’anni fa, riportava le opinioni di analisti del Pentagono secondo cui il 2017 sarebbe stato l’anno di massimo attrito fra i blocchi in cui si divide il mondo, a causa della sotterranea guerra per il controllo delle fonti di energia e alimentari, oltre che dell’acqua. La crescita del pericolo terroristico può essere legata a questa prospettiva, o è dovuta a tutt’altro?


«Il conflitto fra Israele e Palestina è al centro di questa tragedia. Si sa che Israele devia e sottrae l’acqua disponibile, occupa le terre dei Palestinesi, non rispetta le risoluzioni dell’Onu e umilia i suoi avversari in forme e modi che non sono nient’altro che una colonizzazione e un’occupazione. I giovani arabi che vivono in tutto il mondo sentono questa situazione come un’immensa ingiustizia, tanto più che Israele è sostenuto all’America e da una gran parte dei Paesi d’Europa con una sproporzione di forze assoluta».

A chi giova di più fra gli stati arabi il dilagare del terrorismo? E fra quelli occidentali? A chi fa più comodo l’esistenza dell’Isis?


«Il terrorismo avvantaggia soprattutto coloro che fanno affari con le armi e quelli, singoli e Stati, ai quali interessa destabilizzare il mondo musulmano e arabo. Ma tutto il mondo in realtà è vittima del terrorismo, che ha ucciso, se parliamo di pure statistiche, più musulmani che occidentali. È una minaccia planetaria…».

Le “primavere arabe” hanno avuto esiti in parte anche disastrosi, come poi è successo ogni volta che l’intervento militare occidentale è andato a forzare gli equilibri dei paesi. Ma in mezzo a tante violenze, sta nascendo, faticosamente, in questi Paesi, una forma di democrazia?


«Le primavere arabe sono state una speranza per le popolazioni, rapidamente però le dittature hanno ripreso vigore come è successo in Egitto o in Siria. Il popolo siriano, in particolare, è la vittima principale di questa primavera “abortita”, con più di 400.000 morti e 5 milioni di rifugiati: la più grande tragedia del mondo arabo, una tragedia che si è realizzata con la complicità della Russia che ha bombardato la popolazione civile, dell’Iran e dei suoi mercenari! In una parola, la Siria è diventata la rappresentazione della negazione e della morte delle “primavere”…».

Esistono tanti “islam”: il mondo arabo può riuscire a realizzare una sintesi delle sue diverse anime, alla luce dei rischi che le crisi, anche interne all’islam stesso, possono portare?


«La democrazia è un insieme di valori, e il mondo arabo sta imparando con lentezza a vivere secondo il loro insegnamento. È difficile, senza dubbio e, lo ripeto, occorrono educazione e tanto impegno perché essi attecchiscano e possano vivere. Quello che però vorrei dire agli italiani è di non ripetere gli errori della politica francese nei confronti degli immigrati e dei loro figli. Bisogna veramente integrare chi è nato sul suolo europeo e dargli le stesse opportunità dei coetanei. È necessario, inoltre, insegnare in maniera oggettiva la storia delle religioni chiarendo l’origine e i tratti comuni delle tre confessioni monoteiste, e lottare contro razzismo e ignoranza, riconoscendo agli immigrati i loro diritti. E i loro doveri».

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