L’Italia all’alba di un secolo ricco di promesse

Rimini



FORLÌ. Il decennio “ruggente” che fece della rottura, della libertà, del piacere il suo credo. Un decennio in cui anche le donne assaggiarono finalmente la libertà, in cui l’arte si applicava all’oggetto e discuteva sulla propria replicabilità industriale. Pop art ante litteram, ma non erano gli anni Sessanta, erano gli anni Venti. Alba di un secolo ricco di promesse e di sogni, molti dei quali rimasero interrotti. Un’epoca che per sfuggire alle tenebre di una guerra diede sfogo alla creatività, al colore e anche allo sfarzo, disegnando prospettive che avrebbero potuto traghettare l’Europa e il mondo verso un futuro rilucente. E invece deragliarono verso un’altra tragedia mondiale, la seconda nel giro di poco, preceduta dal buio ancor più cupo dei totalitarismi che spensero in un batter di ciglia l’oro e i colori sgargianti, e quasi sfacciati, di quello stesso tempo.
Lo spirito di un’epoca
Ruggenti, e anche voraci. Furono gli anni Venti, su cui si concentra la mostra forlivese alle porte, “Art déco. Gli anni ruggenti in Italia”, che ancora una volta sarà un gioco intellettuale di rimandi continui, attraverso le arti, i decenni, la storia. Il tutto per raccontare l’essenza di quello che fu il “Déco”, definizione che non si diede da sé, un gusto più che uno stile. Gusto per la mondanità, anche il lusso, proiettato su valori moderni mutuati dal geometrismo cubista, dal dinamismo futurista, dal simbolismo espressionista. Voracemente eclettico perché non esitò a inglobare e contaminare motivi egizi, africani, cineserie, orientalismi di ogni sorta riversandoli in opere d’arte quanto in oggetti di uso comune, lasciando esplodere il design.
Un’epoca in cui le donne conobbero e si affacciarono al lavoro fuori casa, mentre gli uomini erano impegnati nelle trincee del primo conflitto. Una libertà che si tradusse in nuovi costumi, ma che di lì a poco nuove dittature avrebbero ancora represso.
Una mostra glamour
La diatriba fra bellezza elitaria e bellezza democratica, l’industria che attinge all’arte, l’artista che lavora per l’industria. La replicabilità dell’opera d’arte. Sono anche questi temi del periodo concentrato e complesso. «Le forme si vanno adeguando a una modernità meno spirituale e interiore, ma più corrispondente a una realtà che quotidianamente si fa più vistosa e accattivante. Mondana», sintetizza il coordinatore della mostra Gianfranco Brunelli. La gerarchia fra le arti quasi scompare, la tecnologia dei materiali prende piede. si aprono nuovi spazi mentali e formali. Poco lontano ci sarà Hollywood, il jazz, le sale cinematografiche, il grande Gatsby, e altre dive, la frenesia glamour attraversa facilmente anche gli oceani.
D’Annunzio & co.
L’Isotta Fraschini targata RA 52 del Vate ha già preso posto al Museo San Domenico. Ma saranno almeno un’altra decina i pezzi in arrivo dal Vittoriale. Al poeta che fece della sua vita stessa un’opera d’arte sarà dedicata infatti una stanza intera e una buona dose dello spirito déco si specchierà proprio qui. La declinazione prevalentemente italiana della mostra sarà evidente e darà testimonianza delle Biennali di Monza del 1923, 1925, 1927 e 1929, nonché della prima triennale di Milano del 1930, oltre che, naturalmente, dell’Expo di Parigi del 1925.
Sì, viaggiare
Il viaggio fu uno dei miti dell’epoca e a esso sarà dedicato ampio spazio, con sorprese che ancora non possono essere rivelate. La fantasia dell’epoca viaggia fra le Piramidi, nel 1922 venne scoperta la tomba del faraone Tutankhamon che rilanciò in Europa la moda dell’Egitto, ad esempio. Ma fu anche, materialmente, l’epoca dei transatlantici, e delle auto, della tecnologia che avanza.
Senza precedenti
Non si è mai allestita in Italia una mostra completa dedicata a questo variegato mondo di invenzioni, non poi tanto lontano dal gusto moderno, ma capace di evocare atmosfere dal mondo mediterraneo della classicità. La mostra è curata da Valerio Terraroli con la collaborazione di Claudia Casali e Stefania Cretella, ed è diretta da Gianfranco Brunelli. Il comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci.


Sedici sezioni
Saranno sedici le sezioni in cui si articolerà la mostra dei Musei San Domenico che apre al pubblico l’11 febbraio prossimo (dopo l’anteprima del 10) e si protrarrà fino al 18 giugno. Per raccontare quel decennio denso di fascinazione ed entusiasmi, di creatività e prospettive, i curatori hanno attinto, ancora una volta, a ogni forma di espressione artistica.
Quattrocento opere
Saranno circa 400 le opere esposte, fra queste ovviamente anche molti oggetti, dalle poltroncine del transatlantico Normandie ai gioielli sontuosi del “principe degli orafi” Alfredo Ravasco. Dalle sculture di Giò Ponti (ci saranno le opere per cui l’italiano vinse l’oro all’Esposizione internazionale parigina del 1925), alle suppellettili dannunziane in arrivo dal Vittoriale, auto personalizzata compresa. Ci saranno sei quadri dell’iconica Tamara de Lempicka. Poi ceramiche, vetri, abiti con una particolare sezione sulla moda del tempo, per scoprire che la minigonna nacque allora e non 40 anni dopo.
Gli allestimenti delle sale
Grande cura è stata posta ai colori delle sale del San Domenico che ospiteranno le opere di questa mostra, a curare l’allestimento ancora una volta lo Studio Lucchi e Biserni di Forlì che ha studiato un particolare blu-verde pavone rappresentativo di un’epoca tanto sgargiante.
Eventi collegati
Saranno diversi gli eventi collegati alla mostra e non solo a Forlì. In città, nel vicino Palazzo Romagnoli, sempre l’11 febbraio aprirà la mostra “Art déco e scultura. Wildt nelle collezioni di Palazzo Romagnoli” che avrà gli stessi tempi della mostra del San Domenico. A Castrocaro invece il Padiglione delle feste delle Terme ospiterà dal 18 febbraio al 2 luglio “Magiche atmosfere déco” con esposizione di ceramiche, oggetti, xilografie e illustrazioni originali rappresentate da Francesco Nonni, Beltramelli, Angoletta. A Faenza il Déco avrà spazio al Museo internazionale delle ceramiche dal 18 febbraio al primo ottobre. Qui il focus sarà dedicato agli interpreti più locali di questo gusto. L.G.

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