«Lacci, il lato oscuro della famiglia»

CATTOLICA. Silvio Orlando torna in Romagna; al Teatro della Regina di Cattolica presenta alle 21 la novità “Lacci”, adattamento teatrale dal romanzo omonimo di Domenico Starnone. L’attore – che ne è pure produttore – prosegue la collaborazione con Starnone dopo “La scuola” del 1992 (debutto con prove al Petrella di Longiano con il titolo “Sottobanco”), ripresa l’anno scorso. Il ritorno di fiamma ha condotto a una scelta meno simpatica di prima; protagonista ora è una famiglia consumata nei rapporti tra le mura domestiche. Si avverte sul palco un’angoscia sospesa, una tensione che lascia presagire un fallimento, da parte di una coppia sposatasi nei primi anni Sessanta.
Come è arrivato Orlando a questa virata teatrale, con un personaggio che non induce consensi? Rischiosa, come lo fu la produzione del suo Rameau di Diderot?
«Rientra nell’ambito di una sana follia – risponde Silvio Orlando –, quella che il pubblico non si aspetta da me. Sono le cose per le quali ha senso fare teatro, cercare strade nuove, provare cose difficili come “Lacci”. Qui siamo di fronte a un incubo, i personaggi si ritrovano dentro senza accorgersene. È una vicenda dolorosa in cui si accarezza il pubblico da un verso sbagliato».
Un testo “Lacci”, distante dallo Starnone della “Scuola”.
«Entrambi non siamo più giovani come allora; in questo Starnone settantenne troviamo un sentimento di disincanto. La sua è una riflessione sulla famiglia, sull’analisi di un luogo mentale in cui le persone danno il peggio di sé. All’esterno appaiono migliori ma dentro il nucleo domestico, per una serie di strane alchimie negative, finiscono per liberare le cose peggiori».
Perché avete scelto di adattare teatralmente un romanzo e non di creare un copione ex novo?
«Starnone ed io siamo piuttosto pigri; a lui l’idea di partire dal foglio bianco probabilmente lo angosciava un po’; questo nuovo romanzo aveva già una struttura “teatrabile”, e dunque una parte di lavoro era già fatta».
Che famiglia raccontate?
«Una famiglia a cui è andata così, senza esprimere un punto di vista; lo spettacolo è interessante perché non prende le parti di nessuno. Sarebbe facile oggi cavalcare l’onda femminista, l’ipocrisia di famiglie in cui le donne erano sottomesse. Qui tutti i personaggi rappresentati sono responsabili».
C’è tensione, angoscia?
«Mettiamo in scena una paura, una ragnatela di parole che si fa persino ipnotica, un silenzio teso, e alla fine senti che hai dato qualcosa di necessario. Ciò che mi preme nel lavoro è di esaltare l’aspetto mostruoso della normalità, che conduce uomini come tanti a diventare mostri. In questa mia fase di carriera ricerco anche lo stile più sotteso del personaggio».
Perché ha chiamato in regia Armando Pugliese?
«Perché noi due non siamo d’accordo su niente, siamo il bianco e il nero. Quando mi serve portare in scena una sgradevolezza, lui me la mostra. Avevamo già fatto “Questi fantasmi” di Eduardo, testo che sembra il padre nobile di questo “Lacci”».
Venendo al cinema, cosa le piace di Paolo Sorrentino che in “The Young Pope” l’ha resa protagonista come cardinale Voiello?
«Gli riconosco una grande libertà creativa, è uno che cavalca le proprie ambizioni in maniera più libera e svincolata, rispetto alla mia generazione appesantita da eredità di neorealismo e commedia all’italiana. Lui ha sparecchiato tutto, si è confrontato con un aspetto anche estetico di fare cinema. Si è buttato con incoscienza, con spudoratezza quasi, cosa che mi piace molto; e ha pure aiutato me a esprimere cose che il cinema non mi chiedeva più, offrendomi un personaggio anomalo che forse nessuno altro mi avrebbe consegnato».
Il Petrella di Longiano ricorda il trentennale, anche lei ha fatto parte di quella storia.
«Spero di farne ancora parte, è uno spazio meraviglioso, con un pubblico straordinario, è il vero teatro italiano della sana provincia italiana».
Info: 0541 966778

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