Laddove l’operetta si fa musical e diventa fiaba

Rimini

BUDAPEST. Per scoprire dove nascono le operette che nei prossimi giorni sfileranno sul palcoscenico del teatro Alighieri, a comporre la trilogia autunnale di Ravenna festival (a partire da venerdì 14 fino al 23 ottobre), bisogna spingersi fin nel cuore dell’Europa, al centro di quello straordinario coacervo di lingue e culture che fu l’Impero austroungarico, che il genere operettistico celebrò proprio negli anni del suo fulgido quanto inesorabile tramonto. Insomma, bisogna arrivare fino in Ungheria.
Ma non basta fermarsi a Budapest, la moderna capitale in cui, tra le tante occasioni musicali che animano ogni serata, continua a spiccare lo storico Teatro dell’Operetta. Per cercare di capire fino in fondo cosa sia l’operetta da quelle parti, è necessario attraversare la sterminata pianura che porta a est, oltre duecento chilometri – mais e zucche, e ancora mais – che tanto fanno pensare alla nostra pianura: se la “Padania” è innervata del verbo verdiano, qui a farla da padrone sono Lehár e Kálmán. E arrivare a Debrecen, per grandezza la seconda città ungherese, a sua volta con una vita musicale e culturale decisamente ricca che si esprime prima di tutto attraverso il suo teatro, sul cui palcoscenico un ruolo di primo piano spetta proprio all’operetta.
Del resto, è attorno al teatro Csokonai (così si chiama, intitolato all’omonimo poeta, settecentesca gloria locale) che si sviluppano le aspirazioni che vorrebbero Debrecen città “Capitale della cultura” nel 2023: non solo l’attuale costruzione, che lo scorso anno ha festeggiato i 150 anni di storia, sta per essere restaurata, ma entro un paio d’anni vedrà la luce anche un altro teatro, completamente nuovo. Dunque, ci si dà da fare, lo spiega bene anche il vicesindaco, nonché responsabile della cultura, Szabolcs Komolay, che nell’operetta riconosce un sentimento «profondamente radicato nel popolo ungherese». E dice il vero, almeno a vedere con quale entusiasmo il pubblico dello Csokonai accoglie “Il pipistrello” di Strauss, lo stesso (allestimento e interpreti) che tra qualche giorno sarà in scena all’Alighieri: giovani e meno giovani, tutti uniti in un applauso che sembra non finire più.
Ma questo teatro, che accoglie il pubblico quasi tutti i giorni, in cui lavorano, tra tecnici e artisti, almeno 250 persone, e che collabora stabilmente con l’Orchestra Filarmonica Kodály (anch’essa di Debrecen nonché protagonista della trilogia ravennate), non è che uno dei nodi della costellazione artistica che darà vita appunto alla trilogia dell’operetta: al suo fianco ci sarà il Teatro Nazionale di un’altra grande città ungherese, Szeged, oltre naturalmente al Teatro dell’Operetta della capitale.
Tre teatri, dunque, e un’orchestra ungheresi per un progetto mai realizzato prima d’ora in Italia. Una costellazione che negli ultimi anni si è dotata di una struttura, coordinata da Daniel Vadász, e di un nome, “Operettissima”: perché questo genere musicale cosiddetto “leggero”, ma di altissima qualità, sia valorizzato in tutte le sue potenzialità – non è un caso che il capodanno televisivo ungherese si celebri nel segno dell’operetta e che seguitissimi galà operettistici “made in Ungheria” comincino a risuonare in tutto il mondo, dall’Europa al lontano Oriente.
Una valorizzazione che si esprime nell’aggiornamento, sia registico che coreografico, dei titoli della tradizione, i più amati, come appunto quelli che approderanno a Ravenna – oltre al “Pipistrello”, “La contessa Maritza” di Kálmán e “La vedova allegra” di Lehár – , ma anche nella continua creazione di nuovi lavori che, come tiene a precisare György Lörinczy, direttore del Teatro dell’Operetta di Budapest, «abbattendo i confini tra operetta e musical, si ispirano alla storia ungherese (un titolo per tutti, “Sissi”), ma anche a soggetti non scontati capaci di catalizzare l’attenzione del pubblico giovane (un esempio, “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” dal film di Almodovar), sempre naturalmente tenendo alta la qualità interpretativa: su questi palcoscenici non basta cantare bene, bisogna anche essere ottimi attori».
E gli interpreti migliori si muovono da un teatro all’altro, in un clima di collaborazione che ha portato i teatri ungheresi, in particolare quello della capitale, a virtuose coproduzioni con quelli di San Pietroburgo, Praga, Bucarest, e per i prossimi cinque anni anche Tel Aviv.
Ma la continuità, e al tempo stesso il rinnovamento, di questa tradizione non possono sfuggire a chi, una qualsiasi domenica pomeriggio a Budapest, si affacci alla platea del Teatro dell’Operetta (non dimentichiamolo: 500 addetti, 300 spettacoli all’anno, 95% dei posti venduti): centinaia di bambini e ragazzini insieme ai genitori, mentre sul palcoscenico sfilano diavoli ed eroi, l’operetta si fa musical, il musical diventa fiaba e i piccoli tra un atto e l’altro corrono fin dietro le quinte, per strappare l’autografo ai personaggi preferiti.
Il pubblico di oggi si intreccia con quello di domani, nel gioco intramontabile del teatro musicale.

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