Tutti i mondi possibili di Ludovico Ariosto in un libro e una mostra

FERRARA. A 500 anni dalla pubblicazione dell’Orlando furioso, Ferrara celebra il poema di Ariosto con la straordinaria mostra Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, curata da Guido Beltramini, direttore del Centro Palladio di Vicenza, e da Adolfo Tura, specialista di cultura umanistica. Una vera e propria rassegna d’arte che conduce in un affascinante viaggio tra le pagine del poema, tra battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e incantesimi. A Palazzo dei Diamanti sono visibili fino all’8 gennaio i capolavori di Mantegna, Leonardo, Raffaello, Tiziano, Paolo Uccello, oltre a sculture, arazzi, armi e manoscritti miniati (www.palazzodiamanti.it).


Alberto Casadei affida invece ai tipi di Marsilio il suo nuovo libro (Ariosto: i metodi e i mondi possibili) in cui vanno a confluire studi e saggi dedicati all’autore dell’Orlando furioso in quasi trent’anni di attività.

Forlivese, lo studioso è ordinario all’Università di Pisa e ha pubblicato numerosi lavori sulla letteratura italiana del Cinquecento e del Novecento.


«Quest’anno con i 500 anni dalla prima edizione del Furioso, e nell’occasione della mostra ferrarese, era quasi d’obbligo dedicare ad Ariosto un’opera di sintesi – spiega Casadei –. Dal 3 ottobre, inoltre, per la Società Dante Alighieri, realizzerò dei tweet legati alla mostra, mentre il 27 ottobre la Società di Italianistica ha indetto nelle scuole una giornata dedicata al poema. I motivi? È un autore “popolare”: Faharenheit, che mi ha intervistato pochi giorni fa, lo ha indicato come l’iniziatore del fantasy, e Jovanotti è arrivato a definirlo il suo “rapper” preferito di tutti i tempi. In realtà, gli aspetti simmetrici e armonici dell’opera si confrontano costantemente con la condizione di transitorietà del mondo, e questo è un elemento di grande fascino».


Lei conia così la categoria di “mondo possibile”.


«Ariosto non può seguire la logica aristotelica ma piuttosto un criterio di euritmia, che permette di tenere insieme la perfetta stilizzazione compositiva e la dissonanza degli argomenti».


Un “sigillo” lo pone proprio la presenza del narratore-autore.


«Infatti il Furioso è un racconto di secondo grado, con un narratore che dice di “assomigliare” ad Ariosto, con tutta l’ironia e il non scontato dell’operazione, la prima del genere. Il lettore, dal canto suo, è chiamato a registrare la credibilità propria e del testo, di cui è un interprete interattivo… E anche questo permette di parlare di cose che, se stessero in una narrazione di primo grado, non sarebbero che i “bei racconti” alla Boiardo. Certo, la selezione degli episodi più noti permette di cogliere solo con difficoltà la complessità dell’organizzazione e la continua interazione con l’autore. D’altra parte, a scuola almeno, la lettura integrale è impensabile: vero è che il Furioso si presta a ritagliarne episodi».


Ai suoi tempi però non sempre fu apprezzato.


«Non è un classicista antiquario alla Bembo, e proprio per questo resta laterale alle grandi correnti del periodo. Si favoleggia che Raffaello lo rappresenti nel Parnaso, ma è impossibile dal punto di vista cronologico e della sua fama, che non era eccelsa: Ariosto era noto semmai per le commedie, l’Orlando conquistava il volgo più che il pubblico colto. Lo sguardo senza filtri che rivolgeva alla vicenda umana lo rendeva infatti più vicino al popolo che al classicismo colto ma rigido del tempo».


Ma la Romagna lo conosceva?


«Sicuramente, perché Ferrara era vicina per interessi e territori a Ravenna, e lui stesso, come sottolineo nel libro, fa riferimenti a fatti romagnoli, scrivendone quasi in diretta, come la battaglia di Ravenna dell’aprile 1512 che cambia gli scenari dell’epoca. Fra gli scopi del libro c’è infatti anche la ricognizione di aspetti sottovalutati o non capiti dell’opera, segnali che fanno capire però come Ariosto si poneva nella corte estense e commentava gli avvenimenti storici». 


Mostrava anche le zone d’ombra della perfezione rinascimentale.

«Dicendo che la letteratura mente sempre, dimostrava la transitorietà del reale e il fatto che in un mondo apparentemente perfetto esistono vuoti e ricerche senza senso: il “mondo possibile”, appunto, in cui l’ottava perfetta avvolge il vano e il dissonante e la forma cristallina veicola l’imperfetto».

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