L'incanto dell'affresco

Rimini

di VERA BESSONE

 

RAVENNA. Essere didattici, insegnare qualcosa, e al tempo stesso emozionare. Non è cosa che riesca a tutti. È forse questo il pregio maggiore della mostra L’incanto dell’affresco, che ha apertoi battenti al pubblico negli spazi della Loggetta Lombardesca. Perché il percorso ideato da Claudio Spadoni insieme al quarantenne bolognese Luca Ciancabilla (un “giovane”, per il sistema artistico italiano, ma ben venga) ci racconta innanzitutto una storia.

La storia dell’arte salvata. La storia di grandi studiosi (tra questi, era presente ieri alla vernice Andrea Emiliani, ex sovrintendente nonché fondatore dell’Ibc) che, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, si assunsero la responsabilità di “staccare” dalle pareti pericolanti di chiese e palazzi i capolavori affrescati per portarli al sicuro. Roberto Longhi (1890-1970), al quale il Mar undici anni fa dedicò la sua prima, grande mostra – sponsor sin da allora la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna – fu un sostenitore di questa pratica, nel tentativo di mettere in salvo opere deperibili, e fu proprio lui a ipotizzare un progetto come quello realizzato qui. E al di là dell’epica yankee oggi rilanciata dal film di George Clooney The monuments men, in Italia furono soprattutto personaggi come Longhi, o anche come il suo allievo Francesco Arcangeli (altro omaggio del Mar, nel 2006), di cui proprio venerdì ricorrevano i 40 anni della morte, a mettere in salvo tesori preziosi e indifesi. Ma la tecnica dello strappo – e qui sta l’aspetto didattico della mostra ravennate – è ben più antica, e l’esposizione ce lo insegna. Anzi, ci spiega, secolo dopo secolo, come si sia passati dal tagliare veri e propri pezzi di muro (lo facevano già i Romani con le opere greche, ma si praticava ancora nel Cinque e Seicento) alle tecniche settecentesche che hanno permesso a noi posteri di ammirare gli affreschi di Ercolano e Pompei, attraversando l’Ottocento con i “pruriti” di collezionisti più o meno spregiudicati, fino alle sinopie staccate negli anni Settanta del Novecento, quando – anche dopo l’alluvione di Firenze – presero il sopravvento gli aspetti di salvaguardia e tutela del patrimonio.

Didattica ed emozione si diceva: che si uniscono osservando – accanto all’affresco finito – una sinopia in terra rossa, quell’abbozzo svelato in cui riconoscere la mano dell’artista. O potendo ammirare a distanza ravvicinata opere destinate a grandi altezze (e non solo in senso metaforico). Sono 110 i pezzi distribuiti su tre piani: un lavoro durato 3 anni, una storia del gusto in 6 capitoli, tutta da gustare.

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