Quando in Valconca circolava "Carolina", la corriera dei contadini

Rimini

RIMINI. Era il 1921 quando la corriera Bonelli arrancava per la prima volta sulle strade della Valconca, coprendo il tragitto da Rimini a Montescudo. Chiamata affettuosamente “Carolina”, la corriera sostituiva la carrozza a quattro cavalli che fino ad allora aveva collegato i paesi della valle con Rimini. Ne raccontano le vicende Gino Valeriani e Giancarlo Frisoni nel libro “Carolina. Storia di una corriera e dei suoi personaggi”, edito dalla Stamperia nello scorso mese di marzo.

Come nei numerosi volumi pubblicati negli anni passati, Valeriani, professore di lettere ora in pensione, dà voce alla gente delle campagne. Territori che lui stesso, riminese doc, poco conosceva prima di iniziare a svolgere il suo lavoro di insegnante in Valconca. «Ho cominciato nel 1962 a Montescudo nella scuola di avviamento professionale che poi è diventata scuola media – racconta –. Non conoscevo il mondo contadino, ero disorientato, avevo una pedagogia classica che non serviva».

Un esempio: «Normalmente nelle scuole si chiedeva ai bambini di scrivere un tema sulla famiglia partendo dalle foto conservate nei cassetti – spiega Valeriani – ma questo in campagna non era possibile, foto non ce n’erano. E così chiedevamo ai nostri alunni di raccontare la loro giornata e scoprivamo che i bambini che si addormentavano sui banchi, la notte precedente avevano aiutato i genitori nelle stalle a far nascere vitellini e agnelli».

Con altri insegnanti e con l’aiuto della moglie, Valeriani costruisce a Vallecchio il “Museo contadino”, «perché abbiamo sentito la necessità di dare voce a queste persone».

Anche il libro “Carolina” è un modo per fare conoscere la realtà degli abitanti della Valconca, negli anni Venti-Trenta del Novecento. «La corriera per la gente di campagna era un luogo di comunicazione paragonabile all’osteria», dice l’autore, spiegando che le persone che salivano sul mezzo andavano in città a vendere i prodotti dei campi, perché «all’epoca il mercato era rifornito dal contado». Ci voleva quasi un’ora e mezzo da Montescudo per raggiungere Rimini, perché la corriera faceva molte fermate in cui raccoglieva passeggeri dai vari comuni e dai gruppi di case sulla strada. In quell’arco di tempo, le persone si raccontavano, gli anziani dicevano le loro paure della città, vista come un luogo di perdizione, o come uno spazio spaventoso («io lì vedevo solo muri, non vedevo mai il sole», riporta a Valeriani un vecchio abitante della campagna).

«La gente della Vanconca si sentiva “la scarpa più bassa”, soggetti di serie b – prosegue l’autore – ma grazie a racconti e interviste, di loro abbiamo scoperto tante cose, la loro psicologia, i giochi, le favole, le superstizioni».

Il mondo della campagna era anche il mondo della fatica, della povertà, scrive lo studioso Stefano Pivato nella prefazione del volume, evidenziando come le ricerche storiche degli anni Ottanta abbiano rovesciato il «consolidato luogo comune della campagna d’un tempo come Arcadia. La vita contadina era centro di malesseri sociali quali le malattie, gli orari di lavoro eccessivi e, soprattutto, la fame».

Ben vengano, dunque, i lavori di Gino Valeriani e Giancarlo Frisoni del Gruppo di ricerca storica della memoria orale, che «ci riportano alla realtà. Ci ricordano che il mondo contadino non era Arcadia. Che, ancora, i conflitti sociali e le disparità nelle campagne c’erano. Eccome. E sono sopravvissuti fino a quando, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, il boom economico non ha cancellato il mondo contadino e la sua cultura».

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