Omaggio alla scrittura sommersa di Lello Baldini

Rimini

URBINO. La città di Urbino rende omaggio a Raffaello Baldini. Oggi, dalle 16.30 la Fondazione Carlo e Marisa Bo promuove, nell’Aula Magna del Collegio Raffaello, la presentazione di due volumi sul poeta santarcangiolese: il numero monografico della Rivista, edita da Pazzini, “Il Parlar Franco” dal titolo Raffaello Baldini essere voce e gesto e il volume Raffaello Baldini prima del dialetto, Raffaelli Editore, a cura di Tiziana Mattioli e Ennio Grassi. In chiusura lo spettacolo Nel labirinto. L’italiano di Raffaello Baldini da Autotem a In fondo a destra, di e con Silvio Castiglioni. Abbiamo intervistato la curatrice dell’evento che è anche coautrice dell’antologia. Secondo Tiziana Mattioli, con questo lavoro si è cercato di restituire un Baldini a figura intera. Finora se ne conosceva soltanto il mezzobusto straordinario. A lei il compito di spiegarci cosa intende.

«Ho usato questa immagine ricordando Calvino quando ha affermato che il primo libro determina un autore. Così è di Autotem (1967) di Baldini: un’origine che comporta una crescita, nel tempo vicino e lontano. Ed è stato proprio questo tempo vicino alla nascita come autore, dal ’49 al ’69, che con faticosa ricerca abbiamo voluto indagare. Anni sinora ignorati dalla critica, che mostrano una parte cospicua del suo impegno, e che restituiscono l’autore a figura intera e già grande».

Quanto è stata difficoltosa la ricerca non avendo a disposizione il suo archivio?

«Non si può negare la difficoltà del ricostruire un percorso in assenza di un archivio. Tuttavia, un po’ per destino, un po’ per amicizia, c’è stata un’occasione che ha come spalancato le porte verso possibili modalità di ricerca e probabili piste d’indagine. Questa occasione ce l’ha fornita un amico di Lello, e amico nostro, Rodolfo Francesconi, il quale avendo vissuto a Milano con Baldini negli anni ’50-’60, ci ha saputo indicare un tempo della ricerca di Lello e della sua scrittura coincidente col lavoro per la rivista di Michele Provinciali: “Imago”. Questa rivista e il rapporto con il mondo del design, dell’industria e dell’arte, ci hanno indicato nuove e possibili strade: tutte le altre collaborazioni con Provinciali, ad esempio, e la nota ma non indagata collaborazione con “Settimo Giorno”. Poi è arrivata la scoperta dei grandi reportage per la “Rivista Pirelli”. Siamo così arrivati a mettere a punto questa raccolta antologica che potrebbe equivalere al 70% delle scritture sommerse di Baldini».

Come vi siete suddivisi il lavoro analitico e compositivo lei e Grassi?

«L’idea di coinvolgere nel lavoro Grassi è stata sostenuta dalla sua formazione filosofica e sociologico-letteraria. Per questo ho pensato che fosse la persona giusta per interrogare la tesi di laurea di Baldini nonché gli articoli giornalistici di “Settimo giorno”, che sono appunto uno spaccato della società anni ’50, e quindi un argomento da sociologo. Per quanto riguarda il mio impegno, ho cercato di analizzare tutti i testi nella loro prospettiva letteraria e nella loro dimensione strutturale e linguistica, sia in relazione ad Autotem, che resta pur sempre il centro di discussione, sia per gli elementi che sono affiorati come anticipazioni del poeta e dell’uomo di teatro a noi noto, in più di un caso, dei veri archetipi delle scritture degli anni ’90».

Avete intravisto un Baldini anticipatore delle sue linee di forza stilistiche e delle sue tematiche?

«Sì. Gli elementi stilistici sono i più tangibili come dato di continuità. Questo gusto del luogo comune, l’amore per le inquadrature dei dettagli, la spericolata inclusione degli anacoluti, i personaggi che si mettono in scena in situazioni monologanti. Insomma, tutte le straordinarie acrobazie della scrittura di Baldini, e poi il forte attaccamento al dato di realtà e la continua presenza di una interrogazione morale. E i temi sono sempre quelli dello smarrimento dell’individuo nell’età contemporanea, il dato perturbante di questo nostro galleggiare nel “vuoto pneumatico” della post modernità. Anche se, va detto, questo perturbante non dobbiamo interpretarlo in maniera freudiana ma in maniera meccanica, ovvero quella particolare modalità che piuttosto che sprofondare nel buio della psiche, corre su un crinale che separa la schizofrenia dalla comicità. Il comico che si raggiunge galleggia sempre sulla paura, “dal sottosuolo alla luce”. E questa paura, oggettivata, si teatralizza».

Siete soddisfatti del lavoro?

«La soddisfazione è quella di aver messo a disposizione del lettori 250 pagine di testi baldiniani ignoti e rari».

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