Un "Assolo" per cercare l'autostima perduta

Rimini

RICCIONE. L’attrice toscana Laura Morante ha presentato lunedì sera a Riccione il suo ultimo film da regista e protagonista, Assolo. La pellicola vuole raccontare la solitudine di una donna profondamente insicura, sviscerando un tema serio, ma alleggerito dal sorriso. Lo fa abbinando ritmo e grazia, facendo convivere armoniosamente il linguaggio onirico dei flashback con il linguaggio realista o semi-realista del presente, conservando così il tono leggero della commedia. Flavia, la protagonista, a causa di una insicurezza patologica, si trova a essere dipendente da tutti: dagli ex mariti, dai figli, da amiche più o meno dispotiche e dalle due mogli degli ex mariti, che vede come insuperabili modelli femminili da emulare. Il suo accidentato percorso verso l’autonomia e il recupero della propria autostima, sotto la guida della sua psicoanalista, passa per gli innumerevoli tentativi di ottenere la patente e i goffi approcci alla pratica dell’autoerotismo. Al contempo cerca conforto al vuoto sentimentale nel quale si dibatte, attraverso il rapporto con la cagnetta dei vicini accettando con riluttanza le rozze avance di un collega di lavoro.

«Non credo ci siano davvero donne come Flavia – ha commentato sorridendo Laura Morante presentando il suo film – perché qui si tratta di spettacolo e non di statistica. Ai fini di una commedia è normale esasperare certi tratti, e insieme a Daniele Costantini, che mi ha aiutata nella scrittura della sceneggiatura, abbiamo creato un personaggio molto estremo e ironico».

Com’è nato il soggetto?

«In Ciliegine, con cui ho debuttato alla regia, la scena clou era quella in cui veniva mangiata appunto l’ultima ciliegina della torta. Qui è la prima scena che ha dato origine alla storia: si tratta di una veglia funebre in cui sfilano gli uomini della vita di Flavia. Daniele mi aveva invitato a scrivere inizialmente una scaletta, ma fino all’ultimo non ne sono stata capace, perché scrivo di getto come se dovessi realizzare un romanzo. Mi è sempre piaciuto scrivere e spesso ho aiutato colleghi a sistemare le loro sceneggiature. Da dentro però è più difficile, ed è stata fondamentale la collaborazione di Daniele».

Quanto c’è di lei in Flavia?

«Non lo so, perché sono troppo dentro al progetto. Mi hanno chiesto perché abbia scelto di interpretare un ruolo così poco gratificante, ma io mi diverto tanto a farlo. Lo scoglio che lei deve superare è quello dell’autostima. È costantemente in posizione subalterna rispetto agli altri e deve imparare a non guardarsi solo attraverso lo sguardo dei suoi uomini. Credo sia un lavoro che ancora molte donne devono affrontare su loro stesse. Purtroppo l’eredità del femminismo è andata molte volte dispersa».

Da regista si è sentita ispirata da qualche maestro che l’ha diretta in precedenza?

«Non saprei... mi è stato detto che ho un tono alla Woody Allen e mi farebbe piacere se fosse così, però non è stata una cosa voluta. Molti colleghi mi hanno detto inoltre che come genere è un “oggetto sconosciuto” nel panorama cinematografico perché non è una commedia in senso stretto: è ironico ma ha anche i suoi lati drammatici e quindi è di difficile collocazione. Ho cercato di raccontare quello che vedevo come lo vedevo. Essendo ancora attrice, nel film faccio un po’ la spola con la regia e ammetto di essermi sentita sollevata quando potevo dedicarmi totalmente al set per improvvisare e sentirmene davvero padrona».

La protagonista ha alle spalle due matrimoni e nel titolo si ricorda la sua condizione solitaria. Qual è la sua idea riguardo alle relazioni e alle unioni civili, tema chiave di questi tempi?

«Credo che saper stare da soli e saper stare in coppia non siano due condizioni antitetiche, perché bisogna saper fare entrambe. Se guardiamo poi alle unioni civili non capisco in nome di cosa stiamo ancora perseguendo la famiglia tradizionale visti i risultati di divorzi, anni di psicoanalisi eccetera che ha portato. Sono contraria a qualsiasi preclusione e la famiglia deve evolvere com’è giusto che sia e mi sembra una totale falsità rinnegarlo».

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