La "lezione" di Piero: cinque secoli d'arte a Forlì

Rimini

FORLÌ. Una “lezione” artistica che dura da oltre 500 anni. La mostra su Piero Della Francesca tesse il filo di un discorso figurativo che dal Rinascimento arriva alla contemporaneità e lo farà seguendo un “gioco” intellettuale ricco di spunti, rimandi e rispecchiamenti che si materializzeranno davanti agli occhi del visitatore passo dopo passo, davanti a ciascuna delle 250 opere che arrivano a Forlì da tutto il mondo.
Il progetto. La sintesi sarà già nella sala che accoglie il visitatore. Di fronte l’uno all’altro ci saranno due volti di donna: la Battista Sforza di Francesco Laurana del 1472 e L’amante dell’ingegnere di Carlo Carrà del 1921. Secoli di distanza, stesso comune denominatore: quella “divina proporzione” che fu al centro del lavoro e dello studio del pittore-matematico di San Sepolcro. Cinque, che potrebbero diventare sei all’ultimissimo momento, sono le opere di Piero Della Francesca visibili alla mostra, la Madonna della Misericordia, la Sant’Apollonia, il San Gerolamo e un devoto, la Madonna col Bambino, il disegno della coppa. «Basta dire che la grande mostra di Arezzo del 1992 ne ottenne sette» spiega Gianfranco Brunelli che ha diretto il pool di curatori. Il resto della mostra è un lungo viaggio, da Domenico Veneziano, maestro di Piero, fino a Balthus. «La mostra racconta come ogni presente, attraverso i secoli, abbia trovato ragione di sé rileggendo Piero Della Francesca» chiosa Brunelli.
Il viaggio. Delle circa 250 opere presenti circa il 40% arriva dai più grandi musei d’Europa e del mondo. «Ogni opera ha una sua collocazione precisa, insostituibile, anche questa è l’unicità della mostra» rimarca Brunelli. Ci sono capolavori assoluti che sono arrivati o sono in viaggio. Si parte inquadrando il contesto culturale, ci si sofferma su quegli “uomini nuovi” coevi del maestro o immediatamente successivi: Beato Angelico, Paolo Uccello, Francesco Del Cossa, poi nomi che il San Domenico ha già conosciuto, Melozzo da Forlì e Palmezzano in primis. Scorgere i paradigmi piefrancescani, la fissità degli sguardi e gli scorci di città ideali diventate già metafisiche, nel Novecento è forse immediato, ma prima di arrivare alle sale dei Casorati, Guidi, Morandi, Campigli, la mostra evidenzia l’impronta di Piero Della Francesca anche nell’Ottocento. Il primo restauro delle Storie della Vera Croce fu di un macchiaiolo nel 1858, ed ecco allora una sala dove la luce e l’iconicità di quei gesti quattrocenteschi si rileggono in Lega come in Pierre Puvis De Chavannes, o in Degas e Seurat. Per chiudere il contemporaneo più recente: due tele di Hopper e tre dell’ultimo Balthus, ed è già il 2000.
Non solo pittura. Saranno esposti anche volumi rarissimi del Vasari, di Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martino e di Luca Pacioli. Strada facendo si ritrovano inediti importanti, come i “ricalchi” inglesi della Storia della vera Croce di Layard o le riproduzioni in scala uno a uno della stessa realizzati a fine ‘800 per la Scuola di Belle arti di Parigi. Ci sono i tagli delle foto fatte realizzare all’Archivio Alinari da Roberto Longhi per le proprie lezioni e, fra i contenuti multimediali, un’incursione nel cinema e in particolare nelle suggestioni in Pasolini, Zurlini, Tarkovsky.
Quaranta sfumature di blu e altre cifre. Ieri la mostra era ancora un cantiere in piena attività dove il dettaglio di esecuzione anche di ogni singolo supporto è la regola. Un esempio per tutti, la scelta del colore per i pannelli di sfondo alle opere. Scartato un possibile rosso, restava un blu notte setoso estratto proprio da uno spicchio della pala della Madonna della Misericordia, per ricrearlo sono state necessarie 40 prove colore. Sono invece 14 gli studiosi che hanno lavorato all’ideazione della mostra e, per la cronaca più spicciola, già 30.000 le visite prenotate. Che la lezione abbia inizio.

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