Quei sapori bruschi, "flebo di felicità"

Rimini

L’argomento è la memoria. Si parla come sempre di cucina è vero, di sapori, di tradizioni, ma una volta in più delle altre Graziano Pozzetto, il gastronomo romagnolo indagatore del passato contadino, scava ancor più nel profondo della propria memoria olfattiva e gustativa e riporta alla luce un mondo di sapori bruschi e «dimenticati ma indimenticabili», come quei frutti di cui oramai in ogni angolo si celebra di questa stagione la maturazione piena. Ma non è sempre stato così.

In principio fu Tonino Guerra, con il suo orto-giardino dei “frutti dimenticati” di Pennabilli che tanto disse e fece, che quei frutti, cotogne, melagrane, nespole, pere broccoline e cocomerine, azzeruoli, giuggiole, mele e meline di ogni fatta e colore, davvero oggi dimenticati non lo sono più.

Insieme con Guerra, l’autore di questo ennesimo libro sui prodotti romagnoli, il suo trentesimo, ha condiviso molti momenti di riflessione e saperi. Pozzetto chiama infatti il Tonino nazionale «amico e maestro», e si appella a lui come a una sorta di Virgilio dantesco che lo guidi in questa sua lunga camminata autunnale. Che poi è proprio questo il volume: una passeggiata all’aria aperta in campagna, e sembra di vederli i due a braccetto sotto un sorbo, un melagrano o un corniolo, a “spiluccare” piccoli frutti e ricordi d’infanzia.

Se a oggi tanto si è detto, e anche fatto, per salvaguardare la biodiversità autentica di questi frutti selvatici e riattivare la cultura di saperi a essa legata – subito dopo Pennabilli venne Casola Valsenio che proprio in questi giorni riporne la sua grande festa – la lettura di Frutti dimenticati. Frutti indimenticabili di Graziano Pozzetto (fresco di stampa, edizioni Il Ponte Vecchio) è una buona occasione di scoperta per chi ancora non sia mai andato oltre a una sagra sull’argomento (per la prima volta in un libro di Pozzetto c’è anche una parte illustrativa fotografica che aiuta nel riconoscimento di bacche e piccoli pomi selvatici), ma anche per chi sia in cerca di un approfondimento.

Prima di abbandonarsi all’esplorazione del suo personale habitat rurale dei ricordi, secondo una formula collaudata, Pozzetto ha raccolto e posto in testa al volume una serie di contributi importanti di colleghi e studiosi del settore. Introdotti dalle testimonianze poetiche di Tonino Guerra, si passa al contributo di Alberto Capatti, a quelli tecnici di Sauro Biffi del Giardino delle erbe di Casola Valsenio e di Sergio Guidi dell’Arpa, che attraverso le specie selvatiche studia i cambiamenti climatici del territorio, quindi alla raccolta antropologica di usi e riti fatta da Beppe Sangiorgi.

Poi viene lui, l’autore che passa in rassegna una ricchissima lista di schedature gastronomiche dei frutti con relativi usi in cucina, comprese quelle di alcuni chef che ne fanno intelligentemente uso.

Un capitolo è dedicato ai famosi “liquorini” di cui Pozzetto stesso è costante produttore stagionale e prodigo dispensatore agli amici. Ma in principio quei liquorini dai colori molteplici e dai profumi tutti diversi nacquero proprio per Tonino Guerra e la moglie Lora. Di ciliegine nere, prugnoli, peschine selvatiche, albicocchi selvatici, lamponi di bosco, di melograno, Pozzetto macerava in alcol i sapori e i profumi dell’estate e, una volta imbottigliati, li portava a tempo debito alla Casa dei mandorli di Pennabilli, dove per il poeta e i suoi ospiti si trasformavano in piccole “flebo di felicità”.

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