Barbara Bovoli: «La mia Antigone con Pambieri e Tanzi»

Rimini

LUGO. Per uno che ce la fa, cento rimangono indietro. Potrebbe essere questo, purtroppo, il sunto estremo della carriera di tanti giovani attori. Non però della lughese Barbara Bovoli, che a soli 31 anni sciorina già un curriculum da veterana, con ruoli a fianco di tanti nomi importanti, un fortunato testo scritto di proprio pugno (“Luna”) e, ora, un’“Antigone” di cui è protagonista insieme a Giuseppe Pambieri.

Abbiamo voluto conoscerla meglio. Da dove viene la sua passione per la recitazione?

«Da lontano, e all’inizio è stata dura. Nei primi tempi ho fatto molta gavetta, ma mi son resa conto che chiunque voglia fare questo mestiere partendo da zero e venendo da un paese piccolo sperimenta le stesse situazioni. Si passa da un tran tran di tante persone che campano in maniera bieca sulle speranze dei giovani aspiranti attori, con scuole di recitazione improvvisate o agenzie che non portano a nulla. Personalmente, attorno ai 13, 14 anni, ho sentito di avere dentro qualcosa di indefinibile, io dico sempre “un cane che morde le budella”, qualcosa che è lì, stringe e ti tiene stretto lo stomaco. Non sapevo che era il richiamo verso la recitazione, ma quando è stato chiaro ho dovuto seguirlo, rinunciando a tutte le comodità che avrei potuto avere rimanendo a Lugo. I miei genitori però non erano affatto d’accordo e per non contraddirli mi sono iscritta all’università a Cesena, psicologia. Ma subito dopo le lezioni prendevo un altro treno e schizzavo a Bologna, all’accademia Galante Garrone, tornavo a dormire a Lugo e lavoravo nei weekend per pagare il tutto. Finita l’accademia sono andata a Milano due anni, con Marina Spreafico, una bella scuola, e nel frattempo mi sono laureata con 110 e lode».

Ma non era Milano il suo destino.

«Milano non mi piaceva e nel 2004 decisi di trasferirmi a Roma senza conoscere assolutamente nessuno. Ho iniziato a lavorare come cassiera al botteghino di un teatro, poi il direttore ha notato le mie letture di storia del teatro e del cinema, gli ho raccontato delle scuole di recitazione e così mi diede la possibilità di sostenere un provino, che andò bene. Da lì in poi le cose sono andate in crescendo e sono arrivate tante soddisfazioni. Sono diventata anche autrice, nel 2009 ho scritto lo spettacolo “Luna”, che ha avuto un bel successo un po’ ovunque e stava per diventare un film. In quel testo tratto cose importanti – la storia di una ragazza albanese che cerca fortuna in Italia – ma senza dar l’idea di parlarne, e guardando quello spettacolo gli spettatori ridono ma poi, il giorno dopo, mi mandano mail bellissime, in cui capisco che il messaggio è arrivato. Tra l’altro “Luna”, che mi era stato chiesto per una rassegna dal budget ridottissimo, è la dimostrazione che i giovani anche con pochi mezzi possono realizzare lavori vincenti».

E ora ecco questa “Antigone”, per la regia di Lia Tanzi, che sta andando molto bene.

«Si tratta di una lettura ultra moderna del mito, ma come hanno dimostrato tanti grandi autori Antigone è un simbolo di un’attualità sconcertante (tant’è vero che anche Tsipras ne ha parlato nel suo discorso al Parlamento europeo), che può essere rivisitato in tanti modi. La rilettura della regista è molto contemporanea ma la ritengo giustissima. Lo spettacolo si sta facendo spazio da sé, il prossimo inverno forse andremo anche in Russia».

Chissà allora che finalmente non la si potrà vedere calcare anche la scena della sua città natale.

«Proprio in questi giorni sta nascendo una bella intesa con Domenico Randi, il nuovo vicepresidente della Fondazione Teatro Rossini. Ci siamo sentiti per vedere se fare “Antigone” nella prossima stagione, arrivare anche a Lugo dopo essere stata in tournée in tutta Italia non può che farmi piacere. Per ora comunque sto portando avanti un progetto per Lugo in scena, al cui interno desidererei creare uno spazio dove possano incontrarsi espressioni artistiche del territorio con professionalità importanti a livello nazionale, e con giovani aspiranti professionisti locali che potrebbero così formarsi, imparare un mestiere sul campo, vedere grandi professionisti all’opera, avere l’occasione di parlare con loro e di essere coinvolti a livello lavorativo, creando economia, condivisione di idee, fermento culturale».

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