Viaggio fra i ragazzi dell'atelier di Motus e Andreco

Rimini

 

RIMINI. Go deep (o Go DEEP, nella grafica del progetto) è l’invito a entrare nell’ex cinema Astoria di Rimini, sprofondando nell’atelier curato da Motus e Andreco, in collaborazione con Santarcangelo dei Teatri e L’arboreto.

Dieci giorni per passare dall’input d’una ridefinizione e riutilizzo d’uno spazio pubblico a un’eterotopia realizzata: «Si entra all’Astoria dopo anni di chiusura, polvere, muffe e allagamenti» scrivevano a metà giugno Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, ed eccolo trasformato in un dispositivo aperto alla città, dove si immaginano e si mettono in forma il recupero di un bene comune e un’idea di politica culturale che radichi profondamente, nel tempo lungo che ci vuole.

In rete con le realtà sensibili del territorio, grazie alla maestria di chi – come i Motus – s’è fatto antenna sul contemporaneo, e alla creazione d’una comunità temporanea di artisti.

 

Daniela, che riscontro ha avuto la vostra chiamata pubblica di partecipazione a questo laboratorio?

 

«Abbiamo ricevuto moltissime candidature» sorride Daniela Nicolò. «La proposta inizialmente era rivolta solo a persone del territorio – ci interessava creare una realtà che radicasse qui – poi abbiamo pensato che era interessante mescolare, ed è stata allargata. Il gruppo di lavoro invitato ad abitare questo spazio è eterogeneo e accoglie una trentina di persone, architetti, artisti, attori, musicisti… Si lavora per gruppi mobili, tra tavoli per la ricerca sul territorio, la drammaturgia sulle Erinni, la ricerca di parole-chiave, l’allestimento della parata conclusiva, il 18 luglio a Santarcangelo. Stiamo lavorando sulla sonorizzazione, riciclando (e riparando) i diffusori del vecchio impianto audio dell’Astoria e le stesse macchine di proiezione. Le architette hanno cominciato a disegnare, partendo dall’anima di questo posto… immaginando possibili trasformazioni (anche utopiche) che non ne alterino la natura originaria. C’è un gruppo di documentaristi di Roma, Albamada productions, che sta filmando tutto il percorso e ne farà un documentario. Un altro piano d’ascolto è sui desideri e pensieri delle persone del quartiere, per noi parte integrante del progetto; le porte sono sempre aperte per chi vuole passare a trovarci e nelle interviste che facciamo l’Atelier è visto come un’operazione positiva, c’è attenzione e aspettativa.»

 

Come è nato Go deep?

 

«C’è voluto un lungo cammino, per arrivare sin qui, ancora in corso: nel 2009 avevamo presentato un progetto al Comune di Rimini, rimasto nel cassetto sino alla recente acquisizione dell’immobile e la proposta rivolta a Motus, a Santarcangelo Dei Teatri e L'arboreto – Teatro Dimora, di immaginarne una gestione futura. Siamo partiti, adesso, da un laboratorio in forma allargata, non la creazione di un evento ma di un luogo di lavoro e scambio: una zona temporaneamente autonoma. L’Astoria è uno spazio che ha grandi potenzialità, Go deep il dispositivo che ne ha reso possibile l’apertura temporanea. Potrebbe diventare un centro permanente di creazione per le realtà artistiche, di produzione, residenza e accoglienza, una cosa che a Rimini ancora non c’è. Certo, l’edificio dovrà essere ristrutturato, ma con un’idea architettonica forte, per la quale sarà necessario rivolgersi a bandi europei, con lavori di modifica che chiedono una progettualità diversa, ecosostenibile, guardando a modelli alti».

 

«Il nostro intento non è far cadere le cose dall’alto ma entrare in relazione con tutte le realtà del territorio» aggiunge Enrico Casagrande. «Già riflettendo sulla struttura dell’Astoria, nel 2009, ci era apparso evidente come negli anni Settanta fosse stato pensato come polo aggregativo, aperto al dialogo con l’esterno, collocato in un luogo strategico e in evidente collegamento con il quartiere. Ripensarlo chiede un respiro lungo, tempo di ricerca per avvicinarci a competenze vere, nutrito da un lavoro di immaginazione utopica; lo facciamo standoci dentro, e vivendoci dentro capiamo le opportunità da cogliere e le dinamiche del quartiere. Un luogo non esiste prima delle possibili derive che lo abiteranno».

 

Come sempre, i vostri segni artistici partecipano dell’arcaico e del contemporaneo: Go deep è stato annunciato da una semina “virale” di simboli nella città, fioritura dell’albero notturno disegnato da Andreco…

 

«Abbiamo provato a uscire dalla logica dell’evento a partire dalla campagna che ha preceduto Go deep» spiega Enrico. «Un gruppo di persone di Rimini ha disseminato piccoli simboli rotondi, incollati ai muri, sui segnali stradali… una comunicazione non ortodossa, “clandestina” che ha creato curiosità, perché “le spiegazioni sono per gli estranei” mentre qui bisogna andar dentro, provare a seguire. C’è stato un lavoro sottile sul simbolo, da parte di Andreco, artista che sentiamo congeniale, e il diagramma notturno dell’albero è emerso come iconografia perfetta del progetto. L’idea è quella di radice come intreccio sotterraneo, rizoma, corrispettivo dell’individuare nel sottobosco e mettere in rete artisti anche singoli, abbastanza isolati altrimenti, per dare a persone che stanno cercando strade proprie uno spazio di visione, di messa in gioco personale».

 

Le figure profonde di riferimento – stavolta – sono invece le Erinni, utopia di «una società che assimili, sublimi e trasformi l’elemento arcaico» come scriveva Fusillo in L’Orestea secondo Pasolini

 

«Go deep è l’invito ad andare a fondo, lì dove “il bianco si scontra con il nero”, come scrive il poeta Aragon, nell’ascolto di “ciò che si muove nell’ombra”» riflette Daniela. «Lì troviamo le Erinni, antichissime figure del mito, personificazioni della nuvola tempestosa, della furia, del contatto con le profondità sotterranee. Sono le dee che perseguitano il matricida Oreste, fino alla loro pacificazione e metamorfosi in protettrici della città. Pasolini, negli Appunti per un’Orestiade africana, le rappresentava proprio come grandi alberi. Così la figura dell’Erinni torna in tutti i simboli per Go deep, la nuvola scura, l’intreccio bianco-nero, il ramo, che saranno sugli stendardi e le bandiere curate da Andreco per la parata notturna al Festival di Santarcangelo, intitolata L’erba cativa (l’an mor mai). Azione che pensiamo come invasione misteriosa. Un’incursione delle Erinni, “dee del momento animale dell’uomo”, che irromperanno col loro grido dal “buco nero” che l’Astoria era diventato. E che stanno anche sulla soglia del prossimo nostro lavoro: Black_drama/ (Chi era Pilade?), sempre da Pasolini».

 

«Nel Pilade – aggiunge Enrico – che coincide anche con il passaggio dalla fiducia nelle nuove democrazie in Africa dei primi anni Sessanta, verso il totale disincanto, l'utopia di una società che assimili, sublimi e trasformi l'elemento arcaico, espressa dalla metamorfosi delle Erinni in Eumenidi, sembra sempre più lontana. Pasolini è molto sottile e molto critico: “tu ti stai comportando ancora come se fossi re”, dice Pilade ad Oreste. E oggi questa criticità è assolutamente attuale: il Pilade di Pasolini è una riflessione aperta sulla democrazia moderna e sulla corruzione inevitabile del potere. La lotta al potere genera nuovo potere; per sconfiggere il potere occorre dunque fatalmente abbandonare la lotta, o almeno, non vincere? Questa è la domanda che incombe su tutte le pratiche d’attivismo e spesso le corrode. Non vogliamo “comportarci come re” entrare in possesso “del tempio” per venirne poi sussunti, piuttosto preferiamo allontanarci con le Erinni, chiudere il tempio. Vogliamo stare dove bianco e nero si incrociano, non nell’antagonismo o nell’istituzione tout court, ma cercare una forma per superare questo dualismo. Go deep, nella sua natura aperta, permette di progettare dal basso e in dialogo con le istituzioni, il cui sostegno è necessario per le “imprese” culturali. L’importante è difendere il lavoro artistico nella sua specificità, nell’originalità; trovare un equilibrio mantenendo libera la propria voce».

 

Go deep – che si apre alla città fino al 25 giugno invitando a una serie di incontri pubblici – sembra essere anche un laboratorio di “immaginazione politica”…

 

«Inevitabilmente» conclude Daniela Nicolò. «In sintonia col Festival di Santarcangelo, insieme alla direttrice artistica Silvia Bottiroli stiamo cercando di aprire un momento di riflessione sulla ridefinizione e riutilizzo degli spazi pubblici: i tempi sono mutati, occorre concepire nuove istituzioni che non restino barricate, ma che possano accogliere anche la disobbedienza, il disinganno, i gesti di immaginazione tesi a cambiarle. In questa prospettiva si colloca anche la scrittura e la condivisione di un Black manifesto, una dichiarazione di intenti che guarda alla futura gestione ibrida dell’Astoria, a uno spazio dove convivano più identità, con un discorso drammaturgico e politico che coinvolga il territorio, e in questo senso a Rimini sinora s’è fatto poco. Vorremmo arrivare a un manifesto scritto collettivamente, come sintesi finale e momentanea della sperimentazione di questo periodo, qui e al festival, in una contaminazione reciproca. Intanto “L’A-storia continua”: dal 22 al 24 giugno – alle 21.00 – ospiteremo testimoni di esperienze altre, a cominciare da MareMilano. Quresta sera, martedì 23 giugno, toccherà a Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi di Ateliersi, Bologna, e a Giorgina Pilozzi dell’Angelo Mai Altrove Occupato, Roma; il 24 giugno ci sarà Emiliano Campagnola, dell’Ecovillaggio La Giostra. Per chiudere il 25 giugno, invitando la città a Where light and darkness clash, dalle 19 alle 23, germinazione di eventi artistici e di ricerca significativi del percorso ma fuori da ogni dinamica di spettacolarizzazione».

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