L'amarcord collettivo di una terra passionale che non teme le novità

Rimini

ROMA. Un titolo che sembra quasi indicare – nella sua cadenza dialettale – un’affettuosa, intensa partecipazione alle vicende di ognuno di cento noti o meno noti personaggi romagnoli, anche quelli più discussi o detestati, comunque legati, come scrive l’autore, «dal filo rosso che ho magari riconosciuto dopo: creatività, allegria vitale, bizzarria»...

Sono i Romagnoli & romagnolacci. Cento e più ritratti di personaggi della Romagna dell’altro ieri, di ieri e di oggi (Minerva, 2014), ovvero il libro di Vittorio Emiliani, notissimo giornalista, scrittore e saggista nato a Predappio, già direttore del Messaggero e consigliere Rai.

Emiliani, che cosa rappresentano questi “romagnolacci’? È forse una sorta di enciclopedia della romagnolità?

‹‹Più che una enciclopedia, direi un album di famiglia in senso lato: difatti parenti stretti non ce ne sono, a parte due bisnonni molto particolari, quello paterno “Papalòn” Emiliani, lampionaio a Forlimpopoli, e l’altro “Buliròn” Bartoletti, vignaiolo e capomastro a Predappio Alta. Gli altri personaggi, circa 110, li ho però incrociati, incontrati o addirittura frequentati da amico››.

Perché la tanto discussa traccia del ricordo resta sempre strumento fondamentale per narrare il sedimentarsi della Romagna e dei suoi personaggi?

‹‹Per me che in Romagna sono nato e che però in Romagna ho stabilmente abitato soltanto pochissimi anni (tornandovi sempre, certo), era inevitabile ricorrere alla memoria, diretta e indiretta, delle piccole patrie romagnole, un amarcord collettivo, fatto di tanti personaggi, molti dei quali cosiddetti minori: pescatori, anzi marinai, artigiani, birocciai, vignaioli, pittori di carri agricoli come il Gnaffo di Forlimpopoli le cui opere rischiano molto là dove sono state messe dopo la chiusura del formidabile Museo Etnografico Pergoli di Forlì. Denunciatelo››.

Il titolo è ispirato ai sonetti del Belli. Il suo modo di satireggiare i romagnoli sembrava già quasi indicare una sorta di distanza culturale tra il resto dello Stato della Chiesa e la Romagna.

‹‹“Romagnolacci” può essere inteso in vari modi, anche con simpatia. Da noi si usa così: burdèl diventa burdlàz affettuosamente. Nei versi del Belli, alla fine, c’è una palese ammirazione – lui pauroso, bigotto e conservatore – per “’sti matti sgazzerati che se moreno de voia de morì”... Poi ci sarebbero i romagnolacci veri, i violenti, i settari, gli autoritari, ma per fortuna non ne ho incontrati molti nella mia ormai lunga vita››.

Sempre però tratteggiati con partecipazione.

‹‹Stendhal, che era stato ufficiale degli Ussari nelle campagne napoleoniche, scrive anni dopo nel libro Rome, Naples e Florence, che i romagnoli erano così numerosi e coraggiosi nell’Armée che al suo interno si parlava una strana lingua con molte parole romagnole. Un sicuro indice di simpatia e di popolarità. Anche il fatto che, quando in Romagna una impresa chiude e non c’è ricambio, cosa facevano e fanno i dipendenti? Creano una cooperativa. O che da noi le associazioni non profit assistenziali, cattoliche e laiche, siano tante, avrà pure un valore. Magari siamo espansionisti, ci allarghiamo: c’è una Romagna estense e ce n’è una medicea, ma ve n’è un’altra montefeltresca (tant’è che alcuni Comuni finiti in provincia di Pesaro sono voluti tornare in Romagna)››.

Terra di grandi passioni, ha ricordato, ma anche dove «si continuino a coltivare identità culturali ancora importanti, come i dialetti e la loro poesia… insieme a imprese tecnologicamente avanzatissime, al coraggio di rischiare».

‹‹La Romagna non mi è mai sembrata aver troppo timore della novità, delle innovazioni, forse perché ha un fondo visionario. Ho avuto il grande privilegio di essere amico e di frequentare attivamente nell’ultimo decennio della sua esistenza Federico Fellini, visionario come pochi altri, poeta della Romagna e di Roma nel Novecento. Mi propose di compiere insieme un viaggio in Romagna, dall’entroterra di Bertinoro al mare, ma senza decidere prima dove saremmo arrivati, in quali tempi, con quali mezzi. Stava inventando a puntate un viaggio che è rimasto un sogno, una visione. Sere fa, verso le undici, passeggiavo da solo nel cuore di Forlì: ho notato alcuni immigrati africani o indiani che spingevano sui pedali delle loro biciclette, e mi parevano perlomeno sereni. Nel Veneto se ne vedono? Non so. Certo sarebbero piaciuti a Federico››.

Può essere quindi la Romagna specchio di un’Italia migliore, meno uniforme e omologata?

‹‹Certo è una regione che ancora conserva delle diversità positive rispetto ad altre, che non si è appiattita del tutto. Il fatto che non abbia una città dominante ma, a parte Ravenna e Lugo, una serie di centri dislocati sulla romana Via Aemilia, l’ha salvata dai rischi delle aree metropolitane. Come il fatto di essere veramente “ferax” (e non più “ferox”), un dato di fondo che l’ha tenuta così fortemente legata alla campagna, all’agricoltura di qualità, spesso biologica, dopo aver abbondato in concimi chimici e pesticidi, agli allevamenti dove si recuperano le antiche razze come quella suina della mora romagnola, a produzioni come formaggi di fossa, prosciutti di Carpegna e così via. Dove bisogna inventare e ci si diverte a inventare. Insomma, nonostante errori ed eccessi, malgrado uno spessore culturale che non è cresciuto quanto quello dell’ancor recente benessere (e questo crea e creerà problemi), alcuni valori di fondo, alcune istituzioni hanno “tenuto”, ad esempio il senso della tradizione politica che rimonta al Risorgimento. Se la si tradisce, come sta spesso avvenendo, i romagnoli, per ora, si astengono massicciamente. Per ora››.

Il libro verrà presentato stasera alle ore 21 all’hotel Ala d’oro di Lugo

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