Il Ravenna Festival apre con Zubin Mehta

Rimini

RAVENNA. Il ricco cartellone della 26ª edizione di Ravenna festival, che si caratterizza per una immersione nei temi e nelle suggestioni dell’opera dantesca – come suggerisce il titolo “L’amor che move il sole e l’altre stelle” –, è come sempre punteggiato di importanti appuntamenti sinfonici. Così, dopo quella sorta di prologo costituito nei giorni scorsi dal rutilante musical “Rocky horror show” e dalla evocativa installazione luminosa e sonora “Arpa di luce”, è proprio al repertorio sinfonico che è affidata, questa sera, l’apertura ufficiale degli spettacoli: sul podio dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino salirà uno dei massimi direttori del nostro tempo, Zubin Mehta, che a quella compagine è legato da un rapporto che dura da trent’anni.

Certamente Mehta, tra gli innumerevoli protagonisti del mondo musicale che negli anni si sono avvicendati sul palcoscenico di questo festival, è tra i più “affezionati”: dal 1991, quando diresse la stessa orchestra fiorentina alla Rocca Brancaleone, torna infatti oggi a Ravenna per la sesta volta. E ancora una volta scegliendo un programma che inanella alcune delle pagine più accattivanti del repertorio classico, e tracciando un arco che dal Beethoven del primo Ottocento arriva agli ultimi anni di quel secolo, con l’ultima struggente composizione di Cajkovskij passando per l’intensa scrittura di Wagner.

Dunque, nella prima parte del concerto Zubin Mehta proporrà al pubblico del Pala De André due opere, quelle di Beethoven e di Wagner, intrinsecamente legate al teatro musicale, ma divenute nel tempo veri e propri pezzi da concerto: del primo l’ouverture “Leonore”, la terza delle quattro composte per l’opera “Fidelio”; del secondo quella sorta di “condensato” del “Tristano e Isotta” che è il “Preludio e morte di Isotta”.

L’ouverture beethoveniana, composta nel 1806 per la ripresa del “Fidelio” (che aveva debuttato l’anno prima), e poi sostituita dal compositore da una pagina più agile e brillante, venne per la prima volta reinserita nel corso del Singspiel stesso, quale preludio al finale, da Gustav Mahler, allora direttore dell’Opera di Vienna. Che in questo modo conferì a questa poderosa e sfavillante “sintesi poetica” dell’unica opera teatrale di Beethoven una vera e propria seconda vita, contribuendo quindi alla fortunata prassi di eseguirla in apertura di concerto.

Non del tutto dissimile è il caso del “Preludio e morte di Isotta”, ovvero l’accostamento in un unico pezzo sinfonico dei due brani strumentali che stanno all’inizio e alla fine del “Tristano e Isotta”, che, eseguito per la prima volta come pezzo a sé stante nel 1859 (6 anni prima della messa in scena dell’opera), condensa nell’acceso colore strumentale e nell’esasperato cromatismo le struggenti sensazioni di una passione d’amore violenta ed espressiva fino al grande finale della trasfigurazione di Isotta.

Diversa la genesi, ma non l’intensità espressiva, dell’ultima opera in programma, la Sesta Sinfonia “Patetica” di Cajkovskij. Quella che è stata definita il testamento, l’addio alla vita del grande compositore russo, che a 53 anni morirà suicida nove giorni dopo averne diretto, nell’ottobre 1893, la prima esecuzione a San Pietroburgo. E se è sempre rischioso sovrapporre l’opera d’arte al dato biografico, è pur vero che i temi fondanti dell’intera sinfonia hanno un preciso connotato semantico, dolente e funereo (così come le citazioni dalla liturgia dei defunti), e che insieme alla musica, nel finale, sembra svanire la vita stessa.

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