Sapienza contro violenza

Rimini

 

RIMINI. «Se ci limitiamo a guardare alle statistiche della rappresentanza politica, sembra esserci stato un progresso: il numero delle donne elette a varie cariche in molti paesi, compreso il nostro, è aumentato. Tuttavia, se ci focalizziamo solo sulla leadership, non è ancora scomparso il pregiudizio che le donne non siano adatte ad esercitare il potere».

Donatella Campus – docente di Scienza politica a Bologna e curatrice del volume Donna domina. Potere al femminile da Cleopatra a Margaret Thatcher (Bononia University Press, 2014) – mette a confronto due casi esemplari, quello della “Lady di ferro” inglese (1925-2013) e quello della probabile candidata democratica per la Presidenza degli Stati Uniti nel 2016, Hillary Clinton (1947). Diverse per estrazione sociale, ideologia politica, approccio e generazione. Unite dall’anomalia di essere donne leader, nonché accomunate dallo stigma mediatico della “femminilità al potere”. Con un paradosso: la più giovane americana ha dovuto subire attacchi ben più forti contro la sua persona di quelli subiti dall’inglese, e questo nonostante, negli anni, le cose per le donne in politica siano migliorate, almeno numericamente. Perché?

Campus – invitata dal Coordinamento Donne a presentare il libro questo pomeriggio alle 17.30 a Rimini, nelle sale antiche della Biblioteca Gambalunga – proverà a rispondere a questo e altri interrogativi.

Nella sua analisi, la studiosa mette l’accento anche sul ruolo dei media e dell’opinione pubblica: «Di solito uno dei problemi principali delle donne che aspirano alle massime cariche politiche è proprio quello di riuscire a convincere di possedere l’autorevolezza e la fermezza necessarie a prendere decisioni impegnative, soprattutto in situazioni di emergenza nazionale».

«Le donne – spiega infatti – sono stereotipicamente associate ad alcuni tratti caratteriali che le descrivono come più sensibili e più portate a prendersi cura degli altri». E qualora decidano invece di mostrarsi forti e assertive, sono viste con fastidio quando non accusate di essere troppo “mascoline”. Il termine tecnico è double bind, doppio vincolo.

È quanto accaduto a Hillary Clinton nella sua campagna del 2008: «Viene da più parti rappresentata come una donna arrogante e priva di calore umano. Le critiche non sono tanto centrate sulle sue credenziali, quanto sul suo carattere».

Verrebbe da chiedersi: sarebbe mai accaduto a un uomo?

Ma c’è di più: «Il clima di opinione che va formandosi durante la campagna produce anche attacchi esplicitamente sessisti». Come l’uso frequente su Internet del termine bitch (cagna, e quant’altro).

Del resto, anche quando si vuole apprezzare la presenza femminile in ruoli chiave, non è raro ascoltare affermazioni circa la “sensibilità”, l’“amorevolezza” e la “diplomazia” delle quali le donne sarebbero portatrici. Una discriminazione al contrario? Perché non chiedersi semplicemente quali siano le caratteristiche necessarie a rivestire ruoli di leadership? Sebbene, essendoci stati finora esempi quasi esclusivamente maschili, è chiaro che sono gli uomini ad aver stabilito il “canone” al quale adeguarsi. La questione non è semplice.

Ricorda Campus – autrice tra l’altro del volume Women political leaders and the media (2013) – che di Margaret Thatcher si è spesso sentito dire «non è davvero una donna» o «è il miglior uomo del paese». Come se essere forti, duri o decisionisti – sue caratteristiche riconosciute – fossero peculiarità esclusivamente maschili.

Molte donne, e molte femministe, non si sono identificate nel modello rappresentato da Margarer Thatcher perché troppo aderente al canone maschile. Ma – ci si chiede – non potrebbe essere proprio lei il miglior esempio di leadership unisex?

L’incontro di oggi – a ingresso libero – sarà occasione per riflettere.

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