«La mia Supernova tra amore e abisso»

Rimini

 

RIMINI. Una scrittrice di cui Alessandro Baricco aveva sostenuto che ha il doppio del talento di Enrico Brizzi, potrebbe vivere di rendita. Invece la riccionese Isabella Santacroce, alla vigilia dei suoi primi 45 anni splendidamente portati (è del 1970), non si siede sugli allori e, dopo la trilogia dantesca, riparte con un’altra trilogia, dedicata a Eva, il cui primo “capitolo” è questo Supernova, uscito per Mondadori il 10 febbraio e che sarà presentato ufficialmente il 18 marzo a Roma.

Si parla di sesso, adolescenti, ma soprattutto di amore. Però se qualcuno si aspetta una roba alla 50 sfumature..., risparmi i 18 euro e vada a mangiarsi una pizza e magari a farsi frustare un po’! Santacroce racconta di Divna, Dorothy e Thomas, tre ragazzini come tanti, che attraversano l’adolescenza, questa età di passaggio, magnifica e terribile, armati dei loro sogni e circondati dai loro fantasmi. La vita, intorno, è dura, il mondo dei grandi si manifesta in tutta la sua inadeguatezza o – peggio – nella sua più depravata voracità. Gli adulti sono affascinati dalla luce che, come stelle appena nate, i tre amici sprigionano: ma faranno di tutto per spegnerla abusando della loro innocenza, del loro stupore, della loro curiosità.

Supernova racconta della prostituzione minorile. Tema attualissimo. Qual è il suo punto di vista?

«Supernova è una grande storia d’amore e sull’amore; la prostituzione minorile non è il suo centro, e nel romanzo rappresenta l’abisso, l’insidia. La prostituzione minorile è una realtà impronunciabile, nascosta, perché ne sono coinvolti molti più adulti di quanto si possa immaginare. I protagonisti del mio romanzo hanno sogni, e l’adolescenza è l’età dei grandi sogni. Sentono di essere in potenza qualcosa di straordinario, di non ancora ben definito ma la confusione e la solitudine affettiva nella quale vivono fa sì che si lascino svilire, si lascino trascinare da false chimere. Si lasciano sedurre dal potere del denaro».

Colpisce la citazione iniziale di Mariangela Gualtieri: «Gli adulti sono ragazzi morti». Lei che ormai è adulta, si sente morta? E perché si dedica all’adolescenza e ai suoi turbamenti: che cosa l’attira di quell’età?

«Io non sono adulta, non lo sarò mai. Rispondo con queste parole di Giacomo Leopardi: “Vivono fino alla morte, se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita”. In Supernova, Lucrezia, che nel romanzo è la magnaccia dei tre ragazzi, di Dorothy, Divna e Thomas, seduta nel suo salotto sontuoso, una sera dice a Dorothy: “Amavo davvero una volta, le speranze erano sogni nei quali credevo, ho lasciato mi rubassero tutto, non mi sono difesa”. Ecco, spero davvero che Supernova non venga considerato un libro solo per gli adolescenti ma un libro anche per tutti coloro che hanno ancora in sé una purezza da difendere».

Non ci sono capitoli: tutto sembra un po’ un lungo piano sequenza come nel film Birdman. Il perché di questa scelta stilistica?

«Quando scrivo, volutamente tendo a rendere i personaggi e la trama i più universali possibili. D’altronde è il registro del romanzo a permettermelo. Sulla genesi invece seguo la mia sensibilità di artista. Io scrivo letteratura e la letteratura è una potente lente d’ingrandimento. La letteratura è uno specchio e spesso riflette realtà intollerabili».

Supernova è il primo di una nuova trilogia di romanzi dedicati a Eva. Sa già di cosa tratteranno i prossimi due?

«Sì, ma preferisco non parlarne, non per vanità, ma per qualcosa che tanto somiglia a un sentimento materno. I miei libri sono per me come figli da proteggere».

Collaborerà ancora con Gianna Nannini?

«Certo, è una grande artista, e collaborare con lei mi entusiasma sempre».

Nascere in Romagna: come ti forma, in cosa ti rende diverso dagli altri?

«Sono nata a Riccione. Il mio primo libro, Fluo, racconta una sua estate, e il suo essere silenziosa e rumorosa, sole e nebbia, fantasma invernale, e prorompente corpo estivo. Amo questo suo essere divisa, sacra e dissoluta».

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