Aperta inchiesta sulla morte in "diretta"

Rimini

RIMINI. La tragedia da non perdere di vista è la morte in scooter di Simone Ugolini, un ragazzo di ventiquattro anni e quella della sua famiglia sconvolta per la perdita. Se oggi si finisce per parlare d’altro è per interrogarsi su come l’agonia del giovane possa essere stata condivisa in diretta su Facebook, per un pugno di “like”, e se un fatto del genere costituisca reato. È un dubbio che intende dirimere anche il procuratore capo Paolo Giovagnoli: intanto ha immediatamente aperto un fascicolo per la presunta violazione dell’articolo 15 della legge numero 47 del 1948 che dispone l’applicazione dell’articolo 528 del codice penale ai fatti riguardanti gli “stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari”. Gli approfondimenti del caso sono stati delegati a polizia postale e polizia stradale. Il procedimento, per ora, è a carico di ignoti. C’è da valutare, tra l’altro, l’aderenza della vicenda alla fattispecie, prevista espressamente come reato solo per i media. Nel frattempo, la stessa Rete che solitamente, attraverso i suoi meccanismi matematici, premia l’immediatezza e i contenuti di prima mano è invece in rivolta contro l’autore del filmato (acquisito dagli investigatori). Il 29enne Andrea Speziali che ha ripreso la scena è dispiaciuto: «Ero sotto choc. Non mi sono reso conto di quel che facevo». L’onda dell’indignazione è montata subito, a dispetto delle aspettative dell’improvvisato aspirante cronista da social. La domanda da porsi è se quelle immagini rispettino la dignità della vittima e il dolore dei familiari. Quello della dignità della persona umana è un valore costituzionale. Ma non l’hanno anche violato gli utenti che hanno visto e commentato? E che dire dei mezzi di informazione tradizionali che (ipocritamente?) hanno ripreso i fotogrammi del cadavere per “stigmatizzare” la follia del web, in violazione della Carta dei doveri del giornalista che vieta di “pubblicare immagini o foto particolarmente raccapriccianti a meno che non prevalgano preminenti motivi di interesse sociale”? Si dovrebbe indagare solo sull’autore del video o anche su chi lo ha riproposto? La pubblicazione di immagini di un cadavere caratterizzate da particolari impressionanti e raccapriccianti, lesivi della dignità umana, non rientra nel diritto di cronaca. E di recente la Cassazione (febbraio 2017) ha tracciato una divisione che, a proposito di “pubblicazione”, applica la disciplina per la stampa alle testate telematiche, equiparate a quelle cartacee, ma non ai social network. Secondo questa impostazione il comune cittadino che “posta” non può essere punito in base alla legge sulla stampa (altre ipotesi da valutare riguardano semmai la legge sulla privacy). Non è la prima volta che scene macabre o di violenza vengono postate su Facebook alimentando il voyerismo degli utenti, ma non sempre certe condotte, anche le più improvvide e stupide, hanno un corrispettivo nel codice penale. L’esame del filmato ha permesso di escludere, invece, l’ipotesi di omissione di soccorso. Orari alla mano, la polizia postale ha infatti accertato che la diretta Facebook ha preso il via dopo che erano già arrivate chiamate al 118. Speziali, come ha ribadito ieri agli agenti che lo hanno sentito e gli hanno sequestrato il cellulare, non è stato il primo ad arrivare sul luogo della tragedia: nel filmato lo si sente interpellare i presenti sulla dinamica. Quando lui invita gli “spettatori” a «chiedere aiuto», c’è già qualcuno, evidentemente meno social e più ricco di umanità, che l’ha fatto.

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