Preso il killer del catamarano

Rimini

RIMINI. Il folle progetto criminale di rubare un’imbarcazione e fuggire insieme ai Caraibi, che costò la vita a una donna, si materializzò tra le bitte del porto di Rimini, dove Filippo “Pippo” De Cristofaro, il latitante catturato l’altro giorno in Portogallo, e la giovanissima Diane, sedevano spesso con lo sguardo rivolto all’orizzonte, convinti che niente e nessuno potesse fermarli. Nido della primavera del loro amore fu, tra marzo e giugno 1988, una mansarda in via Gubbio, a Bellariva. E in un negozio della zona, come appurarono gli investigatori, la coppia acquistò una delle armi del delitto, il coltello, ma forse anche il machete (anche se lui, che amava spararle grosse, disse di averlo comprato a Tahiti). Il commerciante si domandò che cosa se ne potessero fare di un utensile del quale avevano saggiato consistenza e affilatezza. Lui e l’Italia intera lo scoprirono il 28 giugno di ventotto anni fa quando, sette miglia al largo di Marzocca di Senigallia, la rete a strascico di un peschereccio issò a bordò il cadavere zavorrato con un’ancora da diciassette chili della 34enne skipper fanese Annarita Curina. Il movente dell’omicidio? Appropriarsi del suo catamarano e vivere un sogno di libertà, un delitto pianificato a Rimini dove De Cristofaro, prima della partenza, incontrò dei parenti per farsi finanziare l’avventura all’estero e conobbe la vittima, pochi giorni prima della tragedia. Per una singolare coincidenza l’investigatore che fece i primi accertamenti sul soggiorno riminese della coppia, l’allora capo della Mobile Oreste Capocasa è oggi, da questore di Ancona, alla guida dei poliziotti che hanno individuato e arrestato l’ergastolano De Cristofaro in Portogallo, all’ultimo giro di boa della sua infinita fuga, dopo la seconda rocambolesca evasione. «Complimenti», ha detto l’uomo agli agenti nel tentativo di nascondere la disillusione. Lo skipper aveva fatto perdere le sue tracce nel 2014. Aveva usufruito di un permesso premio (tre giorni da trascorrere a Portoferraio, ma con il divieto di abbandonare l’isola d’Elba), senza fare rientro in carcere. Nel 2007 era evaso una prima volta dalla prigione di Opera (Milano). Allora la caccia era finita in Olanda a poca distanza dall’abitazione di Diane. La fuga che aveva fatto più notizia era stata proprio la prima, quella del 1988. Lui sul catamarano dell’orrore aveva fatto rotta verso la Tunisia insieme alla fidanzatina minorenne, sua complice. L’idea era quella di raggiungere la Polinesia, ma finì per incagliarsi sulle coste dell’Africa dopo aver girovagato quaranta giorni per il Mediterraneo, inseguito da investigatori e cronisti. Fu proprio un giornalista (del Carlino) a segnalarne per primo la presenza e spingere la coppia nel deserto. Le manette scattarono mentre i due soccorrevano un cagnolino ferito. Non avevano dimostrato la stessa pietà nel “liberarsi” di Annarita. Secondo la verità processuale fu “Pippo” a esortare Diane a uccidere la proprietaria del catamarano, all’inizio della navigazione. Spaventata dal sangue le versò un mezzo flacone di ansiolitico nel caffè. Annarita si riprese e allora la ragazzina affondò il coltello, senza convinzione. Tanto che De Cristofaro, fingendo di soccorrerla, finì la vittima a colpi di machete. Alla testa. Poi avvolse il corpo in una coperta e lo calò in mare, giusto il tempo di sincerarsi che la donna era morta. Infine zavorrò il cadavere e lo gettò a fondo credendo che potesse inabissarsi per sempre.

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