Droga: il tunnel si fa sempre più lungo

Rimini

CESENA. Quando si parla di droga si tende a pensare ai giovani e alle pasticche o alle sostanze sintetiche. E invece sono tanti i tossicodipendenti di lungo corso: il Sert di Cesena ne segue ben 126, circa un terzo di tutti quelli che ha in carico. Un problema serio non solo dal punto di vista sanitario, ma anche per l’impatto sociale e i non rari risvolti penali sulle famiglie di queste persone, che in quasi la metà dei casi vivono insieme ai genitori, in uno stato di forte conflittualità.

Si è svolto due giorni fa, nella sala convegni dell’ospedale Bufalini, il primo di tre seminari che il Sert di Cesena dell’Azienda Usl della Romagna ha deciso di organizzare sul tema delle dipendenze. Il primo argomento messo sul tavolo, dal titolo “Bisogni ed aspettative della persona con dipendenza patologica da lungo tempo (old users)”, è stato sviscerato dal responsabile degli ambulatori Dipendenze patologiche del Sert di Cesena, Maria Cristina Montanari, dallo psicologo e psicoterapeuta, vice-presidente del Gruppo Abele, Leopoldo Grosso, dal direttore del Distretto territoriale Rubicone, Antonella Brunelli, dal dirigente dei Servizi sociali dell’Unione dei Comuni Valle Savio, Matteo Gaggi, dal responsabile della Comunità terapeutica “Madonna degli Ulivi” di San Carlo, Massimo Neri, e dal direttore dell’Unità Operativa Dipendenze Patologiche di Cesena, Michele Sanza. In platea numerosi assistenti sociali del Comune, operatori del Sert e rappresentanti degli enti accreditati.

«La costituzione, all’inizio del 2014, di un’unica Azienda Sanitaria locale per tutta la provincia romagnola ha portato ad un contesto di maggiore confronto tra gli operatori del settore socio-sanitario - ha aperto il dibattito Montanari - Il Sert di Cesena si sta interrogando su quelli che sono i bisogni emergenti dell’utenza e, in tal senso, il problema della dipendenza da lungo periodo rappresenta una fetta sempre più consistente dei pazienti che si rivolgono ai nostri servizi».

Nonostante le modeste dimensioni territoriali, il contesto cesenate non è affatto immune alla problematica degli “old users”, cioè le persone che fanno uso di droghe da almeno una ventina di anni. Questi tossicodipendenti “cronici” in carico a Cesena sono 126: il 33,5 per cento del totale dei pazienti. Tra questi, 102 sono i soggetti Hcv positivi, 4 quelli Hcv negativi e 15 i pazienti positivi all’Hiv. Nel comprensorio cesenate è il Distretto Cesena-Valle Savio quello che conta un maggiore numero di tossicodipendenze da lunga data, con 89 soggetti in carico, mentre il Distretto Rubicone ne conta 33.

«Per quanto riguarda le persone seguite, e per meglio capirne i bisogni sociali, abbiamo rilevato che il 39 per cento non ha una dimora nota, ben il 42 per cento (nonostante l’età adulta) vive ancora con i genitori, mentre gli altri vivono invece da soli. Per quel che riguarda la condizione lavorativa, il 33 per cento è disoccupato».

Grosso ha aggiunto che «il dato più eclatante per questi pazienti riguarda proprio la perdita parziale di autonomia, con conseguente conflittualità nei rapporti familiari».

I tre tipi di interventi suggeriti per questi old users sono l’inserimento in residenzialità protettive, opportunità di fare e vicinanza relazionale. «Tutte necessità - ha affermato Gaggi - che l’amministrazione comunale, nonostante i vincoli, continua ad avere ben presente. Attualmente sono circa 60 gli operatori di strada che coprono Cesena e il dormitorio pubblico aperto 3 anni fa con 24 posti letto continua ad essere un riferimento importante per le realtà di disagio locale. Inoltre - ha aggiunto - grazie al Decreto ministeriale emanato dal governo Renzi, che legittima l’apertura delle posizioni Inail per sostenere le opportunità attive per questi soggetti, stiamo cercando di costruire percorsi su misura».

Gli strumenti sui quali investire - ha ricordato Sanza - riguardano «la deburocratizzazione del sistema d’offerta, l’utilizzo del budget di salute quale strumento di flessibilità e responsabilizzazione, l’integrazione dei servizi socio-sanitari attraverso un migliore uso dei piani sociali di zona».

Non meno importante, secondo Brunelli, «la cooperazione interistituzionale per elaborare strategie d’intervento e risposta più adatte alla dipendenza cronica».

Quale concreto esempio di collaborazione tra istituzioni, settore sanitario ed associazioni locali, è stato citato il caso della Comunità terapeutica di San Carlo, che - ha affermato Neri- «si è aperta ad un progetto nuovo, mettendo a disposizione per utenti old users 5 posti su 18, e accogliendone oggi già 2. Cercando di offrire residenzialità protettiva, relazioni e opportunità di riscatto, la Comunità deve essere soltanto un primo passo verso un percorso di riabilitazione integrato».

 

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