Psicodramma in casa Pri

Rimini

 

CESENA. Psicodramma dentro il mondo politico repubblicano e laico, che lunedì sera, a spoglio ultimato, si è trovato sbattuto fuori dal consiglio comunale. Si è così aperto un vuoto che ha un significato enorme nella realtà cesenate, dove quella storia e quella cultura hanno radici profonde e hanno prodotto frutti importanti, accompagnando senza interruzioni la vita di Cesena, dal Risorgimento ad oggi.

Il declino era iniziato da tempo: già nelle elezioni comunali del 2009 l’Edera non era andata oltre il 5,36 per cento, perdendo 2 punti percentuali rispetto al risultato ottenuto 5 anni prima. Ma la svolta c’era stata a metà degli anni Novanta, quando dopo il clamoroso picco toccato alle amministrative del 1990 (in quella occasione il Pri arrivò ad un 19,53% oggi inimmaginabile), ci fu un ridimensionamento drastico (8,88%).

Eppure, nonostante tutto, se non ci fosse stata la frattura tra il Pri e il gruppo che ha seguito Luigi Di Placido nella sua nuova avventura alla guida dei Liberaldemocratici, tuttora ci sarebbero stati numeri sufficienti per continuare ad avere una rappresentanza istituzionale. Anzi, una forza unita di quel genere, magari irrobustita con qualche altro apporto riformista (da Fare per fermare il declino a Progetto Liberale), si sarebbe piazzata senza difficoltà al quarto posto. La somma del risultato centrato da Luigi Di Placido e di quello dell’Edera ha sfiora infatti il 6 per cento. Però si sa che “dei se e dei ma son piene le fosse”. Più che mai in politica.

Così, dopo un’appendice ai veleni e agli scambi di accuse reciproche, andati avanti per tutta la campagna elettorale, ieri è iniziata a venire a galla un’amarezza comune. E’ palpabile soprattutto nei commenti sui social network.

Le parole scritte da Luca Ferrini sulla sua pagina Facebook descrivono perfettamente lo stato d’animo dei repubblicani e meritano rispetto: «Vorrei dimettermi ma non so da cosa. Da una lista fuori dal Consiglio comunale dopo oltre un secolo?... Non avrei mai pensato di dover essere io a spegnere la luce e invece è andata così. Una carezza al mio Pri e alla mia Edera». Rispetto a questo sfogo del capolista dei Repubblicani, che confessa tutta la sua «tristezza», le considerazioni fatte da Di Placido sono meno struggenti, ma è chiara la delusione. La cerchia dei suoi sostenitori continua a ripetere che si è arrivati a questo punto perché «Non si è svecchiato il partito» e perché non si è trovato il coraggio di rinunciare al “feticcio” dell’Edera per costruire qualcosa di nuovo: mettendo da parte la scatola (cioè lo storico simbolo e la forma partito tradizionale) - è la convinzione di chi ha sposato la causa dei neonati Libdem - si sarebbe potuto e ancora si potrebbe salvare il contenuto, dando vita ad un nuovo soggetto politico più dinamico. Ma probabilmente è troppo tardi. Soprattutto se continueranno a prevalere quelle divisioni che hanno lasciato senza rappresentanza tutte le persone che si riconoscono nell’area laica, repubblicana e riformista. Poco importa se è stato per la cecità di Tizio o per i personalismi di Caio. La ferita sanguina e forse varrebbe la pena provare a curarla.

 

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