Caso Teverini, il pm chiede l’ergastolo per il marito della cesenate scomparsa

Cesena

CESENA. Manuela Teverini è stata uccisa dal marito Costante Alessandri, che poi è riuscito a fare sparire il cadavere. Merita perciò la pena più severa: l’ergastolo. Che in realtà nel suo caso significherebbe 30 anni di reclusione, visto che l’imputato ha scelto il rito abbreviato, che dà diritto a quello sconto in caso di condanna.

Requisitoria del pm per 4 ore

È questa, in sintesi, la tesi e la richiesta del sostituto procuratore Filippo Santangelo, che ieri ha messo in fila una lunga serie di indizi nella requisitoria che ha tenuto nel palazzo di giustizia. È durata ben 4 ore, per riannodare tutti i fili che riconducono a quel 5 aprile dell’anno 2000, quando la donna che abitava a Capannaguzzo sparì nel nulla.

Le parti civili

Alla richiesta del pm si sono associati gli avvocati delle parti civili, che oltre al riconoscimento della colpevolezza hanno chiesto un risarcimento per tutti i sette familiari della donna che assistono: la figlia Lisa, le sorelle Antonella e Marinella, il fratello Gabriele e tramite lui la mamma Elsa Belli della quale è amministratore di sostegno (tutti seguiti dall’avvocata Carlotta Mattei) e gli altri fratelli Piero e Ivano (assistiti dall’avvocato Antonio Baldacci).

Verso una sentenza

Il 21 dicembre la palla passerà nelle mani dei difensori di Costante Alessandri: Carlo Benini e Silvia Brandoli. Dopo le loro arringhe, non resterà che attendere la sentenza del giudice Giorgio Di Giorgio.

La pubblica accusa è convinta che il movente del delitto sia economico: sarebbe stato il timore di venire danneggiato da una separazione che era imminente a spingere Costante Alessandri a sbarazzarsi della moglie.

L’uxoricidio e l’occultamento di cadavere erano state fin quasi dal principio le due ipotesi di reato al centro di un’indagine che nel 2002 aveva portato l’uomo dietro le sbarre. Ma ci era rimasto non più di un mese, dopodiché le accuse erano cadute.

La strategia difensiva

Nel 2016 l’indagine è stata riaperta e questa volta si arriverà a un giudizio, seppure con il rito abbreviato, formula che i difensori dell’imputato hanno scelto per evitare lungaggini e fare chiarezza al più presto. Questa è stata almeno la spiegazione data dall’avvocato Benini, anche se hanno sicuramente inciso altre due valutazioni. Da una parte, la difesa si è sempre sentita forte del fatto che non sia mai stato ritrovato il corpo della donna, nonostante i numerosi scavi effettuati nella proprietà della famiglia Alessandri e nei dintorni, anche con impiego di georadar e cani molecolari. In una situazione del genere, affrontare un dibattimento avrebbe rischiato di complicare le cose, perché sarebbero potute emergere prove, o almeno indizi aggiuntivi. In seconda battuta, se arrivasse una condanna, sarebbe più leggera proprio grazie alla diminuzione di pena a cui si ha diritto se si opta per il rito abbreviato.

L’impianto accusatorio

Dal canto loro, il pm Santangelo e gli avvocati delle parti civili si aggrappano a una pluralità di indizi e hanno messo l’accento anche su elementi nuovi. Come le cassette Vhs intitolate “Per non dimenticare” che Alessandri aveva auto-registrato, in cui con tono monocorde aveva commentato riprese del panorama attorno a casa fatte nel 2002, dicendo che non si sarebbe mai scoperto che fine aveva fatto Manuela. In quello strano monologo-fiume chi ha chiesto la condanna dell’imputato ha scorto quasi “l’eco” di un assassinio. Anche se, comunque vadano le cose dal punto di vista giudiziario, ormai sembra altamente improbabile che a 18 anni di distanza possa essere rinvenuto il corpo di Manuela.

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