«Sono 120 vittime le vittime su un gommone alla deriva»

Rimini

CESENA. Ha 25 anni ed ha appena vissuto un’esperienza che segnerebbe gli incubi di tutti. A vita.

Giulia Bertoni, cesenate, ha vissuto da volontaria a bordo della nave di una Ong per alcune settimane. Ed ha dovuto assistere impotente al diniego di un salvataggio. Un gommone dove a bordo c’erano 120 persone in fuga dalla morte. Ma che la morte, alla fine, hanno invece trovato: tra i flutti al largo della Libia e prima di un approdo a Malta o in Italia.

La zona è quella della Lifeline: nave piena di profughi che fino ad ora si sono “palleggiate” Italia, Francia e Malta e che nelle ultime ore ha ricevuto il permesso di attraccare a Malta.

In un porto sicuro, o a bordo di una nave grande di profughi, i 120 di cui racconta Giulia Gibertoni non sono mai arrivati.

«Ho ancora gli incubi ed i sensi di colpa per quella notte - ha raccontato a Repubblica - Sono 120 le persone su un gommone probabilmente annegate pur avendo la salvezza vicina. Hanno attraversato deserto e violenze. Vicino a loro c’era un mercantile che non si è mosso. A noi il coordinamento della capitaneria italiana a Roma ci ha imposto di non andare a soccorso. Noi abbiamo ubbidito, sbagliando. La mattina solo una giacca galleggiate era l’unica cosa rimasta in mare».

Giulia, dottoranda della Columbia University, ha compiuto molte altre esperienze di studio in giro anche per l’Europa.

Originaria di Ponte Abbadesse, dopo esperienze tra i migranti a Calais, col fidanzato Peter dal 15 giugno si trovava sulla piccola “Seefuchs”: nave addetta alla ricerca ed al salvataggio dei migranti tra Libia e Malta, imbarcazione della Ong tedesca Sea Eye. Una flotta composta da tredici volontari, studenti, medici in pensione.

«La notte del giorno 18 ero di vedetta. Turni di 4 ore sul ponte della barca, al radar a controllare un mare sempre più mosso. Il nostro segnale radar non funzionava e quindi non eravamo visibili a nessuno. Ma abbiamo potuto comunque sentire su un canale delle emergenze, la conversazione tra un aereo (che segnalava ad 11 miglia un gommone con 120 persone) e una nave mercantile vicina e disponibile ad aiutare. Dopo vari scambi in realtà nessuno si è mosso per quel gommone. Ma li c’erano dei disperati al buio, con le onde che crescevano. Allora abbiamo deciso di chiamare il coordinamento a Roma».

Lasciati morirLa legge del mare à antica come la storia della navigazione. Eppure... Adesso non è automatico che con qualcuno in difficoltà lo si debba aiutare. Non tra l’Africa e l’Italia. Non nel 2018. Una crudeltà assoluta.

«Cosa ci hanno risposto dal coordinamento? In sintesi non ci riguarda, chiamate la capitaneria libica - spiega la 25enne cesenate - Noi per rispettare il codice di condotta che ci obbliga a non superare le 24 miglia dalla Libia a meno che non ci sia un ordine, ci siamo allontanati. Non abbiamo soccorso il gommone in difficoltà».

Non sono stati nemmeno chiamati i Libici: «Il capitano non ha voluto, non so il perché. I migranti? Quella notte la Lifeline, più grande anche di noi che ci occupiamo di primo soccorso, era molto lontana. Alla mattina è arrivata in zona e abbiamo pattugliato le acque dove avrebbe dovuto essere il gommone, restando comunque nei limiti. Di quelle persone nessun segno. Morte, probabilmente, annegate mentre noi tutti stavamo fermi. Della guardia costiera libica mai visto traccia».

La 25enne cesenate non nasconde sensi di colpa che la pervadono: «Avremmo dovuto disubbidire al capitano, al direttore della Ong che ci ha ordinato di allontanarci. Ci dovrebbero arrestare per aver ubbidito, per averli lasciati morire. Se volete arrestarci arrestateci per questo. È Come se dei pompieri si fermassero al semaforo di fronte ad una casa in fiamme. Se fossimo stati dei privati la legge del mare ci avrebbe obbligato a soccorrere».

Invece c’è chi dice che navi come la Seefuchs fanno il gioco dei trafficanti.

«A loro risponderei che è falso, che questa menzogna costa vite ogni giorno. Da quando hanno fermato le navi dell’Ong, che si muovono su direttive delle capitanerie, le barche dalla libia continuano a partire e i migranti a morire. La soluzione deve arrivare dalla politica. Non lo è certo bloccare le navi delle Ong».

Un’Europa che si sta dimostrando razzista, secondo la 25enne cesenate: «Sono sicura che se ci fossero stati 100 tedeschi o italiani a bordo, nessuno avrebbe accettato questi ordini. E invece quel gommone con 120 persone è stato fatto affondare».

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