«Mia figlia suicida per il cyberbullismo. Ai ragazzi ora dico: dovete denunciare»

Cesena

CESENA. «Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno». Questo è il messaggio che Carolina Picchio ha lasciato prima di buttarsi dal terzo piano della sua casa di Novara il 5 gennaio del 2013, vittima di quello che allora ancora non era definito cyberbullismo. Parole che da allora papà Paolo ha fatto sue e porta in giro per l’Italia incontrando i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori. Carolina era una ragazza intelligente, altruista, sportiva, studentessa liceale che una sera di novembre, ad una festa si sente male, se ne va in bagno dove barcolla ubriaca. Un gruppo di suoi coetanei, fra cui il suo morosino, la segue, la circonda, la molestano e la filmano. Il video finisce in rete, su Facebook. Lei si trova al centro di un’attenzione morbosa virale: prima lo scambio in chat tra i presenti, poi il salto sui social network con 2.600 like su Facebook ed una profusione di insulti e commenti denigratori. Dopo qualche tempo Carolina decide di farla finita. Ieri mattina Paolo Picchio ha incontrato 10 classi, di prima, seconda e terza, del liceo Augusto Righi.

Signor Paolo, perché dopo quello che è accaduto a sua figlia Carolina ha deciso d’intraprendere questo percorso rivolto ai giovani?

«Dopo quanto successo a mia figlia, la grande sofferenza patita, ho voluto riprendere quanto lasciato scritto da lei incontrando i ragazzi e le ragazze e chiedendo loro più consapevolezza, più responsabilità alle famiglie ed alle scuole per dire tutti insieme no al bullismo e cyberbullismo. Rivivo ogni giorno il dramma di mia figlia, ma cerco di rielaboralo in maniera positiva, andando nelle scuole per evitare che ci siano altre Caroline. La vicenda di mia figlia ha smosso l’opinione pubblica italiana su questo dilagante fenomeno, producendo il primo processo in Italia per cyberbullismo, dove cinque ragazzi tutti inquisiti per reati gravi hanno ammesso le loro colpe ed hanno patteggiato la pena».

Lei si era accorto di quello che era accaduto a Carolina, di cosa stava subendo?

«Non mi ero accorto di nulla. Certo quello di Carolina non è stato il primo caso di cyberbullismo nel nostro paese, ma il primo acclarato perché fu Carolina stessa a scriverlo nelle lettere che ha lasciato. Prima del 2013 nessuno parlava di cyberbullismo e come io non mi ero accorto di nessun cambiamento in lei neppure lei si era resa conto di essere stata vittima in quel video. Era stata fatta ubriacare, aveva perso coscienza e non ricordava nulla. Era ignara totalmente di quello che era accaduto e quando si è vista ridicolizzata sul web e massacrata dai commenti allora non ha retto al disgusto di essere così vituperata, di aver perso la sua reputazione».

Cosa dice quindi oggi ai genitori di ragazzi e ragazze adolescenti?

«I genitori devono ritornare a fare i genitori, a dare dei vincoli delle regole, a controllare fino ai 13 anni le password dei figli. Perché devono sapere che anche loro poi sono responsabili, non solo moralmente, ma anche penalmente di quello che i loro figli postano, scrivono sui social e sul web. Devono poi essere i primi a dare il buon esempio di come si usano questi dispositivi. Se sono loro per primi a stare sempre sullo smartphone mentre si mangia cosa imparano i ragazzi? Oggi poi purtroppo accade anche che quando qualcuno dà delle regole ai loro figli, i genitori si lamentano e magari prendono a pugni gli insegnanti».

Cosa dice invece ai ragazzi?

«Ai ragazzi dico di essere empatici, di fare in modo che certe cose non avvengano e se qualcosa accade di parlarne e dirlo ai genitori, agli insegnanti, agli amici. I ragazzi e le ragazze stanno prendendo coscienza adesso del fenomeno e tanti ragazzi che prima erano un po’ assenti oggi sono più consapevoli, perché se ne parla e s’incomincia a capire. Ma si dovrebbe partire dalle scuole elementari ed anche dagli asili a fare progetti educativi sull’empatia, sul rispetto verso se stessi e gli altri. Anche questa mattina (ndr ieri) una ragazzina dopo il mio incontro è venuta da me a raccontare ciò che sta subendo ed io sapevo che almeno una trentina di questi ragazzi che ho incontrato oggi stanno subendo una qualche forma di bullismo o cyberbullismo. Ecco perché dico loro di parlare, di non lasciare nessuno da solo, di aiutare se vedono qualcuno che soffre e se vedono qualcuno che fa del male di denunciarlo, di non essere omertosi».

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