La Daphne: «Plastica in mare: sporte biodegradabili utili ma solo se lontane dall'acqua»

Rimini

CESENATICO. Sacchetti, imballaggi, tappi, bottiglie di plastica, polistirolo espanso, bastoncini cotonati, cosmetici, fibre tessili sintetiche, ciabattame, gomma, reti, nylon e calze per allevare mitili. Sono alcuni materiali ridotti in poltiglia, fino a diventare microplastiche che galleggiano in mar, sotto forma di ammassi fluttuanti. Talvolta vengono spiaggiati, ma più spesso si sbriciolano in micro-frammenti, filtrati dal plancton e dai molluschi o scambiati per cibo e quindi inghiottiti dai pesci. In questo modo entrano a far parte della catena alimentare, fino ad essere ingeriti indirettamente dall’uomo.

Per fronteggiare questo problema, l’Unione Europea ha avviato un progetto denominato “DeFishGear”, che si è concluso a fine 2016, ha interessato sette nazioni e ha coinvolto Arpa, attraverso la struttura oceanografica “Daphne” di Cesenatico, e sedici tra istituti scientifici, associazioni pubbliche e private

I risultati del campionamento sono stati consegnati, ma ancora i dati elaborati non sono stati resi noti dal Ministero dell’Ambiente.

I numeri di un eco-disastro

Cristina Mazziotti, ricercatrice di “Daphne”, invita però a riflettere nel frattempo sui disastri causati dall’incivile abbandono: «Perché una lattina di alluminio si degradi in maniera naturale occorrono 100 anni, un mozzicone di sigaretta impiega 2 anni, una gomma da masticare 5 anni, mentre per una bottiglia di plastica servono 1.000 anni. La maggior parte di questo materiale arriva in mare dalla terraferma, attraverso i fiumi, specialmente dopo le piene alluvionali. Dalle bottiglie alle buste “usa e getta”, fino alle microparticelle, il 75% dei rifiuti che si trovano in mare è costituito da plastica. D’altronde, nel mondo ne vengono prodotte ben 300 milioni di tonnellate ogni anno».

Ingerire queste sostanze ha effetti molto gravi sulla salute degli esseri umani, anche a seguito del «rilascio di composti quali gli ftalati»: si va «dalla mortalità indotta, agli effetti genotossici, fino a disturbi ormonali».

Plastiche biodegradabili

Rita Ferrari, biologa marina e responsabile del struttura “Arpa-Daphe”, spiega che la ricerca ha permesso di monitorare «le microplastiche in base a colore, origine, dimensione e composizione», Poi avverte che «l’uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini con i quali si pesano e si prezzano i prodotti sfusi, quali ortaggi e frutta, può aiutare il mare, ma ad un patto: «È ovvio che qualsiasi elemento di biodegradabilità di questi sacchetti può avvenire solo a terra, per l’azione dei batteri». Le bioplastiche a base di amido sono invece poco biodegradabili nell’acqua fredda e salata.

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