I droni del futuro nascono nel capannone universitario

Rimini

CESENA. Si trova a Cesena ed è patrimonio dell'Università di Bologna una delle più grandi arene di volo indoor per droni d'Europa. Si tratta di uno dei laboratori nati nell'ambito di “Sherpa”, ambizioso progetto europeo di cui l'Alma Mater è stata capofila e che ha coinvolto altre sei università europee.

Finanziato con oltre 10 milioni di euro, “Sherpa” era un progetto di robotica area e terrestre per la ricerca e il soccorso.

Il professore Lorenzo Marconi, che ne era responsabile scientifico ed è docente del dipartimento di Ingegneria dell'Energia Elettrica e dell'Informazione di Bologna, spiega: «Studiavamo il modo in cui i robot possono interagire con le squadre di soccorso in contesti complessi come può essere quello alpino».

Oltre all'Università di Bologna, facevano parte di “Sherpa” l'Università di Napoli “Federico II”, l'università di Linkopings (Svezia), l'università cattolica di Leuven (Belgio), il Politecnico di Zurigo (Svizzera), l'Università di Brema (Germania) e l'Università di Twente (Olanda).

Tra i partner tecnici c'era anche il Club Alpino Italiano, con cui studenti e ricercatori hanno potuto sperimentare in loco le strumentazioni messe a punto, simulando in modo realistico scenari di ricerca.

L’arena di volo cesenate

È in questo contesto che una mezza dozzina di anni fa è nata l'arena di volo in un capannone in via Venezia, l’area che ospita sedi universitarie dei corsi di Ingegneria. Quando sarà pronto in nuovo Campus in fase di realizzazione nella zona dell’ex zuccherificio, anche questo spazio avveniristico è destinato a spostarsi là.

«Come Università di Bologna - spiega Nicola Mimmo, assegnista di ricerca e responsabile del laboratorio - nell'ambito del progetto “Sherpa” abbiamo lavorato alla realizzazione di droni da utilizzare in contesti di soccorso alpino. Le nuove normative Enac sono molto stringenti e non ci avrebbero consentito di sperimentare in libertà. Perciò è sorta la necessità di avere un'arena di volo al chiuso, dove testare le varie evoluzioni del nostro drone».

Realizzata da zero, anche l'arena di volo è frutto di competenze “made in Unibo”, grazie alla sinergia con il gruppo di telecomunicazioni, a cui si deve il sistema di riconoscimento che permette di simulare al chiuso quello che all'aperto fanno i sistemi gps. Un aspetto fondamentale per dare al drone riferimenti durante il volo.

Dagli infrarossi alle bici

La tecnologia messa a punto per l'arena deriva da altri progetti a cui lavora un altro gruppo di ricerca, coordinato dal docente Davide Dardari. «Noi abbiamo sviluppato un sistema che consente di localizzare oggetti o persone in un ambiente chiuso - spiega Nicolò Decarli, assegnista di ricerca del gruppo di Telecomunicazioni - utilizzando un sistema di telecamere a infrarossi. È un sistema le cui potenzialità di applicazione sono ancora in fase di esplorazione. Uno dei progetti a cui stiamo lavorando, seppure in misura marginale è ad esempio il progetto “Xcycle”, per sviluppare dispositivi che aiutino a garantire la sicurezza dei ciclisti».

Verso l’industrializzazione

Il progetto “Sherpa” si è concluso, ma da quella esperienza ne è nato uno nuovo, una sorta di “Sherpa 2”, che questa volta vede come unico “protagonista accademico” l'Università di Bologna. «Abbiamo ottenuto un nuovo finanziamento per sviluppare il nostro drone - spiega Marconi - Quello che ci viene chiesto nell'ambito del finanziamento è di portarlo a livello 8 della scala Trl». In pratica, dovranno lavorare per fare in modo che il drone, che per ora ha una vita “accademica”, possa averne anche una al di fuori di quel contesto, lavorando al processo di industrializzazione. «Subentreranno anche quindi considerazioni che prima rimanevano marginali, come la sostenibilità economica del drone».

Ausilio al soccorso alpino

A spiegare il ruolo che può avere il drone in contesto di soccorso alpino è Nicola Mimmo: «Il nostro drone è pensato per aiutare i soccorritori che devono intervenire in caso di valanga. Il suo ruolo è quello di interagire con il segnalatore che chi si avventura in contesti a rischio deve sempre avere con sè. Si tratta di uno strumento pensato per andare a supporto del soccorritore, che è certamente più intelligente del drone. Sulla base della sua esperienza, delle eventuali testimonianze raccolte, il soccorritore andrà a posizionare il drone e a definire il fronte di ricerca per l’apparecchio, che andrà ad intercettare il segnale emesso dal trasmettitore del disperso. In questo modo si guadagna in tempo e sicurezza per gli operatori, e si riducono anche i costi».

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