In sei anni recuperati mille computer

Rimini

CESENA. Mille computer in 6 anni. Recuperati “dall’immondizia” e resi fruibili a chi ne ha bisogno. Il progetto “Trashware” (che ha preso vita grazie ad una convenzione firmata dall’associazione S.p.r.i.te., il comune di Cesena, Hera S.p.a. e il Campus di Cesena dell’Università di Bologna) inizia ad avere numeri portentosi. Ne ha parlato diffusamente in queste settimane il sito specialistico “Tech Economy”.

Che ha messo in evidenza come l’operazione sia ormai da annoverare come un sicuro successo.

La mission. Riutilizzare componenti o sistemi hardware parzialmente funzionanti o semplicemente obsoleti invece che trattarli come rifiuti (trash) è l’obiettivo. Il 28 dicembre 2010 la data di nascita di un progetto che nasce come “utile alla collettività”.

«Di fatto - dicono a Tech Economy i ragazzi che lavorano al progetto - noi riceviamo da privati, aziende e associazioni donazioni di materiale informatico come personal computer fissi, monitor, portatili e altre periferiche a cui ridiamo vita in laboratorio, potenziandoli magari con memoria aggiuntiva o hard disk più capienti e installando sistemi open source, per poi donare i computer a chi ne fa richiesta e ha particolari necessità, come ad esempio le scuole».

L’impegno. Obiettivi di Trashware Cesena, oltre al riuso di pc destinati allo smaltimento, anche la riduzione dell’impatto dei rifiuti elettronici, l’abbattimento del digital divide, l’inclusione sociale e il coinvolgimento attivo degli studenti.

«Per il momento al lavoro siamo in cinque e siamo “la quarta generazione” impegnata nel progetto visto che circa ogni anno i componenti che si laureano lasciano il posto ad altri. Le persone coinvolte hanno un rimborso spese che le incentiva a dedicare un po’ più di tempo al progetto vista la mole di lavoro in rapporto alle braccia. Per ora si cercano nuove leve in mezzo agli associati di “Sprite”. Di solito chi subentra è interessato al progetto perché ha già avuto modo di mettere le mani dentro a un pc, ma se non fosse così ci sarebbe un affiancamento per un periodo di tempo che consenta di capire come rigenerare le macchine e soprattutto adeguarsi alla nostra modalità di lavoro».

Il laboratorio ha sede in un locale locale di proprietà del Comune, che lo mette a disposizione gratuitamente; poi l’università fornisce la connessione a internet ed Hera si occupa del recupero del Raee. «Tutto il resto dell’attività è da coprire con i finanziamenti che gli stessi enti mettono a disposizione: costi di manutenzione ordinaria e tenuta a norma del locale, utenze, e tutto quello che è utile in un laboratorio per pc come attrezzi, prodotti per la pulizia ed eventualmente componenti elettroniche che non riusciamo a recuperare altrimenti. Mensilmente prendiamo a noleggio un furgone che usiamo per donazioni e ritiri “corposi”. Una piccola parte viene usata per materiale informativo fra cui volantini che spiegano cosa facciamo e che informano riguardo al materiale che accettiamo o che ci impegniamo a donare. Ci sono poi da coprire i costi della stampa di manuali che distribuiamo insieme ai pc e che sono utili a chi si avvicina per la prima volta ad un sistema come Linux Mint».

Dall’inizio del progetto le cifre parlano di circa 1.000 pc in quasi 6 anni.

«Per fortuna le persone che ne fanno richiesta non sono particolarmente esigenti: può capitare che qualcuno richieda delle caratteristiche specifiche. Ci sono delle richieste inevase ma riguardano portatili per privati perché purtroppo sono pochi quelli che ci vengono donati. Una persona può richiedere, in modo assolutamente gratuito, un pc con schermo e periferiche o un portatile esattamente come associazioni e scuole, con la sola differenza che ogni privato può richiedere al massimo un computer a testa». Solo nel 2016 sette sono state le scuole che hanno richiesto una fornitura di pc “rinati” con l’obiettivo di ammodernare il laboratorio oppure per impiegare i pc come registro elettronico in classe. Qui abbiamo anche fatto installazione diretta.

Il futuro. Ed a sei anni dalla nascita ancora si parla di sviluppo: «Stiamo cercando di coinvolgere anche studenti degli istituti superiori per aiutarci e dare loro la possibilità di “sporcarsi le mani” senza la paura di rompere qualche apparecchio costoso e cercare di espandere il riuso anche alle componenti elettroniche come pulsanti, led, condensatori che al giorno d’oggi sono utilizzatissimi anche nel domestico. Le difficoltà riguardano la burocrazia: siamo studenti e spesso non abbiamo esperienza in questi ambiti. Dentro al laboratorio siamo pieni di piccoli progettini che ci piace realizzare. Spesso si parla di automatizzare qualche passaggio della rigenerazione».

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