C'è Cariparma dietro l'angolo per la Carisp

Rimini

CESENA. A quattro giorni dall’assemblea convocata per rinnovare il cda della Cassa di Risparmio di Cesena dopo le dimissioni della presidente Catia Tomasetti e della sua squadra, i giochi sembrano fatti per quel che riguarda la scelta dei massimi vertici.

A meno di colpi di scena, sarà il 75enne Carmine Lamanda a prendere le redini della banca. E ad affiancare questo banchiere di lungo corso resterà, nel ruolo di direttore generale, Bruno Bossina.

Quest’ultimo era già stato scelto tre mesi fa dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, nuovo padrone assoluto della Carisp, di cui detiene il 95 per cento, ed è destinato ad avere ancora più poteri.

L’intenzione è infatti quella di riaffidargli non solo la direzione della banca, ma anche la funzione di amministratore delegato. Prima di poterlo fare bisognerà però modificare lo statuto, perché al momento non contempla questa figura.

Tornando a Lamanda, che nel suo curriculum ha esperienze ad altissimo livello in colossi come la Capitalia di Cesare Geronzi e Banca d’Italia durante l’era di Antonio Fazio, nelle ultime settimane le forze politiche, sociali ed economiche cesenati hanno sottolineato in coro la necessità di mantenere anche nel nuovo corso un legame stretto tra Carisp e territorio. Se le competenze professionali di Lamanda sono indiscutibili, c’è chi teme che questa compenetrazione con la realtà locale potrebbe essere intaccata da una scelta che è stata fatta nelle alte sfere romane. Perciò ci sono forti pressioni perché due dei sette componenti del cda siano scelti, su indicazione Carisp, tra persone qualificate che abbiano radici profonde nel territorio.

Su questo punto il Fondo sta mettendo i “puntini sulle i”, sostenendo che i guai che ha avuto la banca cesenate sono in gran parte nati proprio da un rapporto troppo stretto, in una forma che è diventata a volte patologica, con il tessuto imprenditoriale locale. Che si sarebbe tradotto in alcune grosse concessioni di credito che si sono rivelate azzardate, trasformandosi in sofferenze. Quelle sofferenze che sono state la molla scatenante della crisi. Insomma, la tesi è che il legame col territorio dovrà esserci anche in futuro, perché solo così si può rilanciare una banca che ha nel suo dna questa vocazione, ma bisognerà intendersi bene su cosa debba essere un legame sano. Lo stesso convincimento lo hanno i vertici del sistema bancario nazionale, che stanno seguendo molto attentamente la vicenda cesenate, ritenendo che possa diventare un caso pilota su come irrobustire tante piccole banche locali in affanno.

Con tutti gli occhi puntati su questo dibattito, sta però passando sotto silenzio quella che è la vera partita cruciale. E che probabilmente è anche la principale ragione del passaggio di consegne dalla Tomasetti a Lamanda. Si tratta dello scenario di medio termine che si sta disegnando per la Carisp. Il piano industriale da qui al 2018, che mira a ridare fiato alla Carisp, ha un chiaro orizzonte finale: la cessione della banca, o comunque una sua aggregazione con altri istituti di credito, su una scala più ampia di quella attuale. La presidente Tomasetti era decisa a lavorare su un’ipotesi di respiro romagnolo, anche se un po’ allargato, mettendo assieme la banca cesenate e le consorelle di Rimini, Cento e Ferrara. Molti hanno però delle perplessità su quella opzione, guardata benevolmente dal mondo politico, in particolare dal sottosegretario Sandro Gozi, che non ha fatto mistero di ritenerla la scelta migliore. Ma c’è chi obietta che una realtà bancaria come quella prospettata rischierebbe di rivelarsi fragile, in quanto si farebbe una somma di debolezze.

L’arrivo di Lamanda sembra invece preludere ad un percorso diverso. Il suo profilo fa pensare che si esplorerà con decisione l’opzione numero due: l’inserimento della Carisp nella galassia di un colosso bancario. In pole position resta l’impero francese di Crédit Agricole, attraverso il suo collaudato satellite regionale: Cariparma. Un’operazione del genere viene preferita anche dal Fondo, perché si suppone che la potenza di fuoco sarebbe maggiore per rientrare dei 280 milioni di euro messi per la ricapitalizzazione. Se non completamente, almeno per una fetta sostanziosa.

Forse il cambio di guardia in programma il 20 ottobre va letto anche, anzi soprattutto, con questa chiave interpretativa.

Gian Paolo Castagnoli

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