Il ricordo della tragedia di Mattmark

Rimini

CESENA. Erano le 17.15 del 30 agosto 1965, quando un’enorme massa di ghiaccio e roccia si staccò all’improvviso dal ghiacciaio Allalin in Svizzera, travolgendo le baracche del sottostante cantiere allestito per la costruzione della diga di Mattmark.

Fra gli 88 lavoratori (di cui 56 italiani) che rimasero uccisi nella sciagura c’erano anche i cesenati Primo e Tonino Minotti, padre e figlio originari di San Carlo. Primo Minotti, sessantenne, fino a pochi anni prima era stato contadino, per poi intraprendere l’attività di conducente di autocarro. Dopo essere emigrato in Svizzera trovò un’occupazione nello stesso cantiere anche per il figlio Tonino, di 22 anni, che si era sposato da pochi mesi.

A 51 anni dalla tragedia, che all’epoca suscitò grande commozione, l’amministrazione comunale di Cesena ne ricorda le vittime, aderendo così all’appello dell’Associazione Bellunesi nel Mondo per mantenere viva la memoria del loro sacrificio.

«Dimenticare - scrivono dall’Associazione - significherebbe non voler comprendere, quindi rassegnarsi e non voler agire perché catastrofi come quella di Mattmark non accadano più. Oltre a tutto ciò, ricordare è soprattutto giusto. Giusto per quanti senza colpe, cercando migliori condizioni di vita, hanno trovato la morte. Giusto perché è doveroso commemorare le tante storie di vita di cui Mattmark brulicava, tutte diverse, ma accomunate da progetti, desideri, speranze, difficoltà, nostalgia e fatica, e rendere loro onore. E giusto anche perché quanto accaduto non venga cancellato e nascosto dietro a una sentenza (tutti gli imputati assolti e i famigliari delle vittime costretti a sostenere metà delle spese processuali) che ha voluto seppellire, oltre ai morti, anche la verità».

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