Il fantasma dell'indagine sul Cesena aleggia anche su Palazzo Albornoz

Cesena

CESENA. Un fantasma dell’indagine sulla gestione 2008-2013 dell’Ac Cesena condotta dal Commissariato e coordinata dal capo procuratore di Forlì Sergio Sottani, si allunga anche sul Comune di Cesena e su palazzo Albornoz.

La vicinanza emotiva degli amministratori locali (sindaco Paolo Lucchi e presidente della provincia Massimo Bulbi) con l’allora patron dell’Ac Cesena tornato in serie A Igor Campedelli non c’entrano. La loro presenza a fianco della squadra era prevalentemente dettata da motivi di tifo e di felicità per l’esposizione mediatica che per una fetta di provincia la compagine in massima serie comportava.

Il fantasma riguarda invece lo stadio Dino Manuzzi ed i lavori che nel periodo sotto indagine sono stati eseguiti al suo interno. Infatti, da sempre il Cesena calcio è semplicemente affittuario dell’impianto, che è (e resta) di proprietà comunale.

L’indagine in corso vede già iscritti nel registro degli indagati Igor Campedelli, presidente di Opera Cesena Calcio, la società che governava la squadra bianconera. Maurizio Marin, cesenate e presidente della Cesena 1940, una delle società inserite nel sistema Cesena. Poi Graziano Pransani, cesenate che nel periodo oggetto dell’inchiesta era vice presidente della squadra, e Potito Trovato, imprenditore alberghiero residente a Cesenatico che in qualità di amministratore della Romagna Sport Srl era al vertice di tutte le altre realtà: cioè controllava Opera Cesena Calcio, era socio di maggioranza di Cesena 1940 che a sua volta controllava l’Ac Cesena Spa.

In queste settimane, dopo un primo blitz nella sede del Cesena in corso Sozzi (dove c’entrano ancora tre stanze di Opera Cesena Calcio chiuse a chiave e piene di documenti) polizia e magistratura hanno iniziato un attento esame di tutte le fatture emesse e di tutte le operazioni economiche svolte in quegli anni. L’ipotesi accusatoria è di false fatturazioni e violazioni delle leggi fiscali e finanziarie. Nel mirino degli investigatori sono così finiti anche i lavori fatti allo stadio: per tendere il manto erboso in erba sintetica e per creare più spazi a sedere e maggiore visibilità in alcuni settori grazie anche all’abbassamento delle barriere di protezione tra spalti e terreno di gioco.

Dai primi controlli eseguiti dagli investigatori risulta già che il mero terreno di gioco del Manuzzi in erba sintetica sia stato oggetto di regolare pagamento. Ci furono dei ritardi che si sbloccarono a favore della ditta costruttrice in un animato summit avvenuto in un agriturismo a Pievesestina tra Igor Campedelli ed i vertici della Limonta: azienda che si era occupata di questa miglioria del Manuzzi.

I fantasmi per il Comune invece entrano in ballo per tutto il resto. Lavori per centinaia di migliaia di euro che sono oggetto di controlli su fatturazioni che spesso vengono ritenute doppie o fasulle da chi indaga. Ma soprattutto del cui pagamento nulla di certo per ora si sa.

Va da sé che, qualora dei creditori dovessero farsi avanti durante l’indagine, per chiedere di rientrare di quanto dovuto, questi lo farebbero (legge alla mano) non rivolgendosi alla gestione dell’Ac Cesena (vecchia o nuova che sia ora). Ma alla proprietà dell’impianto-stadio: ovvero il Comune di Cesena.

La partecipazione dell’Amministrazione alla vita sportiva della squadra di calcio cittadina (e dalla società che allora lo gestiva), dopo un dibattito durante un paio di sedute in Consiglio comunale venne avvallata in maniera da esporsi esplicitamente sul fronte economico. Votarono tutti a favore in un entusiasmo bipartisan che ben poco spesso si vede nell’Assise. Tutti ad eccezione della Lega Nord, che si astenne.

A copertura dei lavori svolti e di quelli ancora da svolgere allo stadio venne varata nel luglio 2011 una fideiussione da parte del Comune da 2 milioni e 83 mila euro. Con questi soldi l’A.C. Cesena a sua volta chiese un mutuo al Credito Sportivo per i lavori. Il piano d’ammortamento previsto per il pagamento dei lavori tramite prestito bancario era ventennale. Per questo lasso di tempo, ogni sei mesi, il Cesena si impegnava a versare rate di 93.623 euro (per un totale di 40 rate).

La garanzia fideiussoria di 2 milioni e mezzo di euro doveva darla il proprietario dello stadio, cioè il Comune. Che per tutelarsi chiese a sua volta una fideiussione a copertura da parte del Cesena Calcio. Anche questa ancora di salvezza economica fa parte dell’indagine in corso. Che, come noto, prevede ricerche bancarie e finanziarie anche all’estero ed in paradisi fiscali. Cosa che non può far star tranquilli gli amministratori pubblici.

Le fideiussioni societarie a favore del Comune avevano all’epoca della stipula validità triennale. C’era l’impegno a rinnovarle fino alla scadenza del mutuo. Come garante era stata scelta la società Credicor, con sede a Roma. Per mettere al riparo da brutte sorprese i soldi pubblici. Già da allora si sapeva comunque che Palazzo Albornoz, in caso di inadempienze della società di Campedelli, avrebbe potuto essere chiamata a fare fronte al debito contratto.

Davanti all’ampia indagine ora aperta (che presto potrebbe anche vedere allargato il fronte degli indagini e delle imputazioni) il fantasma di possibili creditori rischia di tener svegli la notte.

 

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