Cesenate nel timore degli attentati

Rimini

CESENA. “Diario da Bruxelles Lockdown. Come tornare in una città che da un giorno all’altro ha il coprifuoco e l’esercito nelle strade” è il titolo del post con cui Vincenzo Tiani, cesenate laureato in diritto di internet che da un paio di mesi studia e vive nel capoluogo belga, ha raccontato sul suo blog il rientro nella città in cui spera di continuare a vivere anche dopo il master.

Sabato mentre su Bruxelles piombavano la paura e l’incertezza dello stato d’allerta e dei militari per le strade Vincenzo si trovava a Torino per l’Italian Digital Day. Il proposito è di non far vincere la paura, ma la tentazione di rimandare il rientro è forte: «Anche se sono tranquillo, comprendo che la mia scelta di ritardare la partenza è dovuta a una forma sottile e subdola di paura. Ma non voglio dargliela vinta a quelli là. Perché anche senza fucili, stanno già cambiando le mie abitudini, stanno influenzando le mie scelte e questo non glielo voglio permettere. La guerra al terrorismo parte prima di tutto da qui, dalla guerra alla nostra paura».

È una Bruxelles di un grigio diverso quella che ritrova domenica, anche se meno spettrale di come la raccontano i media. Una cena a casa di amici italiani diventa un diversivo alla paura: «Ceniamo, beviamo del vino e scherziamo sull’apprensione delle mamme napoletane. Poi così, giusto per curiosità, accendiamo il Tg per seguire gli ultimi sviluppi. Ed ecco che si ripiomba nello stato d’allerta, ma quello personale stavolta. È inutile, è troppo presto per fingere che vada tutto bene, posso anche essere tranquillo, ma non posso essere spensierato. Ce ne rendiamo conto e ci salutiamo». Lunedì la metro è ancora chiusa ma la voglia di uscire, di vedere di persona per capire è più forte: «Davanti alla gare central si vedono i primi segnali dello stato d’allerta. Camionetta dell’esercito e microfoni e telecamere dei vari telegiornali. Proseguo verso De Brouckere, al centro di Bruxelles. Sono pochissimi gli esercizi commerciali, negozi o bar, a restare aperti qui in centro. Ora capisco perché i telegiornali parlavano di città deserta. Anche se resta comunque un’esagerazione. Si sta facendo buio e soprattutto sto gelando. Torno verso casa e noto una cosa singolare. Tra i molti negozi chiusi ce ne sono tre aperti. Sono un negozio di dischi, uno di libri usati e uno di “oggettistica”. Forse sono il segnale che non dobbiamo smettere di fare la nostra vita di sempre, che sia ascoltare musica e andare a ballare, leggere, oppure... Divertirci».

Giorgia Canali

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