Un anonimo riapre ferite dal passato

Rimini

CESENA. Ventidue anni e 7 mesi dopo una telefonata anonima riavvolge un nastro tristissimo della storia di Cesena e rigetta ombre e richieste di verifiche sul caso più noto in città di persona scomparsa: quello di Cristina Golinucci. A lanciare un nuovo appello, ed in futuro verrà fatto anche tramite le telecamere del noto programma Tv “Chi l’ha visto?”, è Marisa Degli Angeli: madre di Cristina Golinucci che, anche a distanza di tanto tempo e sia pur impegnata nel difficile “mestiere” di nonna a tempo pieno, continua nel proprio impegno a caccia della verità sulla morte di sua figlia. A dare nuova linfa alle ricerche e, soprattutto, alle richieste di Mamma Marisa, è il parroco di Ronta don Ettore Ceccarelli: che era pastore di anime nella chiesa del quartiere Ravennate anche il 1° settembre del 1992 quando Cristina finì nell’oblio degli “spariti nel nulla”.

«Don Ettore in questi giorni mi ha rilasciato una testimonianza firmata - spiega Marisa Degli Angeli - nella quale si accosta il caso di mia figlia a quella di un’altra giovane cesenate morta: Chiara Bolognesi».

In molti forse ricorderanno le settimane ad alta tensione che si vissero in quell’autunno e la relativa risonanza mediatica. A cinque settimane dalla scomparsa di Cristina, Chiara Bolognesi uscì da casa di un’amica con cui aveva studiato tutto il pomeriggio. Doveva recarsi in visita a sua nonna ma a casa non è mai arrivata. In quel momento si ipotizzò la presenza a Cesena di un “mostro” che aggrediva e faceva sparire le ragazze. Poi, il 30 ottobre, il cadavere di Chiara Bolognesi fu ritrovato nelle acque del fiume Savio. Morta per quello che le indagini definirono senza ombra di dubbio come un suicidio.

«In quei primi giorni di ottobre - spiega la madre di Cristina Golinucci - Don Ettore era investito da tantissime chiamate anonime che riguardavano la mia Cristina. Con le più disparate segnalazioni di dove si trovasse e che fine avesse fatto. Non vennero mai tenute in particolare considerazione perché, è bene ricordarlo. Cristina fu trattata all’inizio come un caso di allontanamento volontario.

In una di queste telefonate, ad inizio ottobre mi testimonia oggi il parroco in forma scritta e firmata in calce, una voce maschile diceva che Chiara era morta ed era nelle acque del Savio, mentre Cristina era altrettanto morta ma le sue spoglie si trovavano nelle acque del Tevere, a Roma, a non molta distanza da un convento di frati Cappuccini dove erano alloggiati anche due frati cesenati».

Sulla collocazione del primo cadavere, si seppe di lì ad un paio di settimane, l’anonimo aveva ragione. Il 30 ottobre 1992 la studentessa di Ragioneria venne trovata morta in acqua. Per quanto riguarda Cristina, mai ritrovata, l’anonimo aveva visto giusto in almeno due punti: la presenza di un convento di Cappuccini nei pressi del Tevere a Roma e la presenza al suo interno di due frati che poi sarebbero stati nel convento dei frati Cappuccini a Cesena per anni: Davide e Giorgio Busni, uno dei quali fu anche a lungo priore del convento cesenate.

«Ho parlato a volte con loro negli anni di questa indicazione anonima avuta da Don Ettore. Non ne sapevano nulla. Per quanto riguarda la loro presenza a Cesena va detto che salvo qualche tensione iniziale, quando le ricerche si concentrarono sul convento, da parte loro c’è sempre stata massima collaborazione nei confronti sia della miglia famiglia che delle ricerche da eseguire». Questo malgrado la convinzione di mamma Marisa sia che ad uccidere sua figlia sia stato Emanuel Boke: sudafricano ospite del convento dei frati cappuccini di Cesena all’epoca della scomparsa, incarcerato per violenza sessuale ma scagionato da tutte le inchiesta su Cristina.

«Resterà la mia idea fin quando non ci sarà il corpo di Cristina ritrovato o qualsiasi altra prova a dirmi il contrario. La telefonata anonima riportata a galla in questi giorni, intanto, la porterò all’attenzione di “Chi l’ha visto?”».

A distanza di quasi 23 anni ricerche non se ne possono fare. A Cesena sono state replicate non molto tempo fa, grazie all’operato del Commissariato di polizia e dell’allora procuratore forlivese Alessandro Mancini. Fare ricerche sul lungo Tevere a Roma è escluso.

«Ma come associazione Penelope, che si occupa di persone scomparse - spiega la madre di Cristina Golinucci - abbiamo lottato tanto per le leggi su chi sparisce “nel nulla”. Virtualmente, 4 anni fa, è stata creata una banca dati del Dna che doveva aiutare a dare un nome ai cadaveri che non lo hanno. Soltanto a Roma ci sono, tra obitori e cimiteri, un migliaio di cadaveri “ignoti”. Molti dei quali trovati negli anni nel Tevere. E se, come ha detto quella voce anonima a Don Ettore, uno di quelli fosse veramente di mia figlia? La realtà è che in 4 anni la banca dati del Dna non è mai diventata operativa. Per questo motivo lancio un nuovo appello. Nella speranza che possa, attivandosi la banca dati, aiutare me e chi si trova nelle mie stesse condizioni».

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