La pietà negata da siti e social

Rimini

Ci sono occasioni in cui un social network si rivela come una mitragliatrice lasciata in mano a un bambino di quattro anni. Come un’arma vera, non rappresenta il male in sé ma può farne tantissimo. L’altra notte, per diverse ore, su una pagina Facebook di Riccione che non prevede filtri in ingresso da parte degli amministratori è stata postata la foto di un ragazzo di 24 anni morto in mezzo alla strada. Contemporaneamente, l’autore dello scatto ha aperto una diretta sul social, riprendendo ripetutamente il cadavere e facendo appello a chi era connesso di chiamare i soccorsi. La follia del gesto è evidente, macroscopica ma troppe volte su social e siti d’informazione improvvisati si calpesta la dignità di chi è vittima di una disgrazia e dei suoi familiari. Non ci sono umanità né senso civico nel mostrare un corpo esanime senza un velo pietoso che lo protegga dallo sciacallaggio voyeuristico. E ce ne sono forse ancora meno nel rivelare l’identità di una vittima - anche indirettamente - prima che i genitori, il coniuge o i figli abbiano ricevuto la visita delle forze dell’ordine. In un passato che sembra remoto - ma parliamo soltanto di dieci anni fa - il diritto elementare alla pietà era garantito. L’evoluzione dei social, rispetto alla morte, ha portato alla barbarie. La diffusione dell’informazione in Rete, pressoché istantanea, corre lo stesso rischio se lasciata, come accade in troppi casi, in mani inesperte.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui