Il populismo che chiude le province ma non mette la tassa sui grandi patrimoni

Rimini

Chi non ha idee le cerca negli altri. È un aspetto del populismo di questi anni. I leader saliti al comando, sfruttando i tanti vuoti della nostra democrazia, rincorrono il gradimento interpretando i sondaggi e le urla sguaiate di social network e talk show televisivi. Non considerano che l’umore della gente è mutevole (oggi più che mai), perché il loro orizzonte arriva al massimo alla prossima scadenza elettorale... Gli italiani ce l’hanno con la casta politica? Allora aboliamo le province, togliamo lo stipendio ai senatori...

Fumo negli occhi! Come tutte le cose fatte male i nodi vengono al pettine. Così le province sono rimaste a metà del guado portando ai cittadini risparmi di qualche euro l’anno se va bene. In compenso ci ritroviamo con enti e territori in crisi di identità e rappresentanza, strade distrutte, scuole al freddo (e senza spazi). Nuovi soldi vengono invece spesi per le cosiddette aree metropolitane, dove più forte è la casta... Vero Bologna? Il problema non è l’esistenza delle province ma come queste spendono i soldi. Un bravo statista non segue l’onda del sondaggio ma ha idee buone e forti che convincono gli elettori.

Cinque anni fa uno studio svelò che tre italiani su quattro erano favorevoli a una maggiore tassazione su ricchezze e patrimoni superiori al milione di euro e sui redditi superiori ai 100 mila euro l’anno. Fatto qualcosa? Andiamoci piano. Il populismo va bene ma non toccate le tasche di chi il populismo lo cavalca.

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