Miliardi in fuga e l'Italia sta a guardare

Rimini

Ogni giorno l’Italia permette a una quantità imprecisata di milioni di euro di prendere il largo e non farsi più vedere, impoverendo ulteriormente il nostro Paese. Una cifra che col passare dei giorni cresce sempre più e su base annua è nell’ordine di diversi miliardi. Non ci sono statistiche ufficiali. I “potenti” mezzi dello Stato italiano non sono in grado di misurarla.
Ognuno di noi contribuisce a questo fenomeno. Se spendi 500 euro per una vacanza sulla riviera romagnola il sito di prenotazioni online (con sede all’estero) ne guadagna 100 mentre l’albergatore fra tasse e altre spese, fatica a metterne in tasca la metà.
Compri uno smartphone su una piattaforma online? Compri un paio di scarpe? Senza saperlo i tuoi soldi vanno a qualcuno che paga l’un per cento in un paradiso fiscale.
Ma così facendo mette in ginocchio il commerciante italiano gravato anche fino al 70 per cento da tasse e gabelle varie. Persino quando ti rilassi sul tuo social network preferito stai contribuendo ad arricchire chi in Italia viene solo per incassare, lasciando quasi nulla di quello che intasca. Il web, e non solo, passa sopra le nostre teste e ci colpisce senza che ce ne rendiamo conto.

Secondo un interessante articolo di Repubblica ormai di qualche mese fa a firma di Ettore Livini (http://www.repubblica.it/economia/2014/06/07/news/tasse_big_web-88272370/) Google, Facebook, Apple, Amazon ed eBay nel 2013 avrebbero fatturato in Italia quattro miliardi di euro ma hanno pagato in totale tasse per soli 11 milioni di euro, poco più di quello che ha pagato un’industria di pelati campana.

Dicevamo che non è solo il web che porta fuori dall’Italia la nostra ricchezza. Tutte le aziende del made in Italy passate sotto il controllo straniero e tutte le aziende estere che investono da noi credete davvero che arricchiranno il nostro Paese? Non illudetevi. Perché allora molte grandi aziende (anche italiane) hanno stretto accordi col Lussemburgo se non per avere risparmi fiscali? Pensate che le piccole imprese italiane abbiano potuto sfruttare la carta del Granducato o di altri paradisi fiscali? No. Infatti molte chiudono e in certi casi sono state persino penalizzate dalle amministrazioni locali che hanno fatto ponti d’oro per fare arrivare gli investitori stranieri concorrenti, senza verificare quanto resta sul territorio di tutti quegli incassi.

Ma che Stato è quello che può permettere tutto ciò? Quale è la strategia di un Paese che permette uno scontro impari fra il negoziante che vende un paio di scarpe nel suo negozietto super tassato (che spende in Italia quello che incassa) e la piattaforma di vendite online che agisce quasi senza pagare tasse e che non lascia nel Belpaese quasi niente? Non si tratta di essere all’antica, anzi. Si tratta di fare giocare tutti con le stesse regole senza penalizzare le nostre risorse, la nostra identità.

«Questa vicenda ha una portata enorme», ha avuto modo di dichiarare più di un anno fa il deputato del Pd Francesco Boccia a proposito di web tax. «Sono sbalordito dalla insensibilità verso uno dei fenomeni più gravi nella storia del capitalismo mondiale. Un’emorragia finanziaria senza precedenti che ci maciullerà se non interveniamo».

E’ anche per questo che il Corriere Romagna aderisce alla campagna “Meno Giornali Meno Liberi” e invita a firmare l’appello su Change.org per salvaguardare il pluralismo dell’informazione. Perché se lo Stato lascia fare tutto alla globalizzazione il nostro Paese finirà stritolato e colonizzato dalle multinazionali e dai grandi gruppi monopolistici. Così diventeremo non più il Paese della piccola imprenditoria ma il Paese dei dipendenti (o disoccupati). Dipendenti da tutto e incapaci di avere il futuro nelle nostre mani.

 

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