Zanotti, presidente nazionale Fisc: «Il pluralismo dell'informazione è un fondamento della democrazia»

Rimini

CESENA. Francesco Zanotti, presidente della Fisc, Federazione Italiana Settimanali Cattolici, direttore del periodico “Corriere Cesenate”, interviene come uno dei protagonisti della campagna nazionale di comunicazione “Meno giornali, meno liberi” nella quale Fisc è una delle nove sigle impegnate a rivolgere a Governo, Parlamento e Paese un accorato appello affinché fermi il rischio reale di chiusura di decine di testate quotidiane e periodiche ulteriormente indebolite dai tagli al fondo per l’editoria 2013 e dalla incertezza sulle contribuzioni pubbliche per il 2014 e 2015.

Dopo l’anno nero, un nuovo anno pieno di incertezze per quotidiani e periodici editi da cooperative E per i 190 settimanali cattolici che fanno capo alla Fisc (la Federazione che li raggruppa a livello nazionale). Cosa si sta rischiando?

«Il 2014 è stato uno degli anni più bui a motivo della crisi economica che incide anche sulla vita delle nostre redazioni. Realtà che raccolgono quasi 500 giornalisti sparsi per tutta Italia e oltre 2mila collaboratori. E’ vero anche che diminuisce la pubblicità, diminuiscono gli abbonamenti e le vendite in edicola, nonostante la carta stampata locale tenga molto di più rispetto a quella nazionale. E, purtroppo, diminuiscono in maniera costante e rapida, fino ormai all’estinzione, i contributi pubblici all’editoria. Tutti questi fattori stanno mettendo in crisi l’intero sistema, compresi i nostri giornali che non di rado, per alcuni territori, costituiscono l’unica voce informativa».

Il nodo più delicato è rappresentato dai tagli al Fondo per l’editoria. Con il taglio 2013 si è toccato, con una battuta, il fondo... ma, complice anche la crisi, una parte dell’opinione pubblica non vede con favore il sostegno pubblico ai giornali.

«I contributi non sono un regalo di Stato a una casta di privilegiati. Lo ribadisco per l’ennesima volta, perché quanto passa nell’opinione pubblica non corrisponde alla realtà. Per questo è importante che la campagna di comunicazione “Meno giornali, meno liberi” arrivi fra la gente, perché qui c’è una gara a chi urla più forte, ma non c’è un dibattito ragionato su cosa significa giornalismo locale, stampa quotidiana e periodica al servizio delle comunità. Si tratta di un sostegno al pluralismo nell’informazione. Invece, continua a passare un ostracismo basato sull’emotività e non sul ragionamento. Il pluralismo non è un optional della democrazia, ma uno dei suoi stessi fondamenti. Lo Stato e la sua Costituzione se ne devono lavare le mani? Direi che sarebbe un gravissimo errore».

Oltre a quotidiani locali che a volte risalgono all’Ottocento, come ha colpito i vostri settimanali e periodici il taglio 2013 al fondo dell’editoria?

«La riduzione drastica è avvenuta in un periodo terribile, direi nero. L’ultima sforbiciata è relativa ai contributi 2013 già messi in bilancio. Su questi, diversi giornali hanno richiesto e avuto anticipazioni bancarie. Solo qualche settimana fa il Governo, per vie informali, ha fatto sapere che l’intero Fondo era di 20 milioni di euro, poi raddoppiati per raggiungere circa il 50 per cento della dotazione dello scorso anno. Questo significa che noi, confinati in quella che io chiamo riserva indiana del 5 per cento (quella dei periodici non profit), abbiamo dovuto dividere in tutto 2 milioni di euro: circa un milione per i 70 settimanali Fisc che prendono contributi. Tre anni fa, nonostante i tagli, eravamo a 3,9 milioni di euro per i soli giornali Fisc. Di questo passo il salasso diventa mortale, anche perché, come è chiaro, queste piccole quote di contributi servono soprattutto per ottenere anticipi di credito... non certo per risolvere i costi complessivi».

In questo scorcio del 2015 avverte un’inversione di tendenza?

«Devo dire che su questo terreno di dibattito come Fisc siamo sempre stati in prima linea. Senza polemizzare potrei dire che alcune testate di questo fronte si sono rese conto del pericolo solo quando il colpo era stato inferto, ma comunque meglio tardi che mai e ora si sta facendo capire che questo mondo è molto più vasto di quanto non si pensi e non riguarda più soltanto le sorti di 700 giornalisti professionisti, 3mila collaboratori, quasi 300 poligrafici. Il territorio rischia sul serio di essere privato di voci che non sono la stampa dei partiti, ma il pluralismo di posizioni ideali, civiche, civili, sociali, religiose sono queste le realtà che rappresentiamo non certo il lucro, il profitto individuale. E poi ci sono la passione per il nostro lavoro e per l’uomo, quello che vive nelle periferie, senza dimenticare le questioni italiane e del mondo intero, specie in questa epoca di globalizzazione senza una direzione umana».

Cosa si sente di augurare ai periodici aderenti alla Fisc e agli altri quotidiani editi da cooperative di giornalisti e poligrafici?

«Spero davvero che nel Governo e in Parlamento vi siano le consapevolezze sufficienti a scongiurare la perdita di un grande potenziale di energie intellettuali e professionali che, fra l’altro, in questi anni hanno rappresentato la palestra per la formazione anche di grandi giornalisti, inviati speciali, direttori di testate nazionali. Fra le tante disgrazie vi è, infatti, un dato preoccupante e sottovalutato: dove va a finire la formazione giovanile dei giornalisti, dei cronisti... cosa succede a un Paese che si riempie la bocca di lotta alla disoccupazione intellettuale, alla carenza di nuove tecnologie, di analfabetismo informativo. Spero ci si pensi davvero molto bene».

 

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