Sulla rotta della Barcolana

Rimini

Da Rimini a Trieste via mare, sfiorando le coste di Croazia e Slovenia. Due giorni per la traversata dell’Adriatico settentrionale in barca a vela (andata e ritorno), due da turisti nella città di Svevo e Saba e uno da “sportivi” nella più affollata regata del mondo, la Barcolana del 50esimo anniversario, quella delle 2689 barche iscritte e dei 28 mila velisti (stimati) in gara.

I preparativi

Come noi sono centinaia i velisti romagnoli in rotta sulla Barcolana. La barca, Andronica, è un Elan di 37 piedi del 2005, acquistato da pochi mesi e quindi tutto da scoprire. Il motore, le prese a mare, il quadro elettrico, le drizze, le dotazioni di sicurezza, i terzaroli, la zattera di salvataggio: ogni cosa deve essere a posto e in ordine per non avere sgradite sorprese. Tema importante se navighi da solo, molto più se porti in barca altre persone e ne senti la responsabilità. La traversata la facciamo in quattro ma siamo in cinque a preparare la barca: io, Andrea, Alberto, Giulio e Massimo (lui ci raggiungerà in auto a Trieste ma collabora ai lavori preparatori: taratura strumenti, pulizia dello scafo dalle alghe e dai denti di cane...).

Navigazione notturna

Partiamo giovedì 11 alle 15. Fortunatamente non c’è la temuta nebbia ma un bel vento di 15-18 nodi e per quattro ore navighiamo con una mano di terzaroli e il genoa, tagliando le onde a 7 nodi e mezzo di velocità. E’ proprio un bell’andare. All’arrivo del buio però cala il vento e accendiamo il motore. Uno spuntino frugale, consumato poco prima che il sole tramonti, stimola anche il sonno. Cominciano i turni. Due di sotto a dormire e due di sopra a scrutare l’oscurità e le tanti luci che indicano la rotta e il tipo di barca o nave. Dare la precedenza a chi spetta, stare alla larga dalle piattaforme, capire quale rotta sta facendo quella grossa nave, interpretare la danza dei pescherecci con le reti al seguito: questo è il lavoro da fare ed è snervante. Ci si consola con la cioccolata fondente che Giulio ha sapientemente portato in pozzetto. La luce del giorno, per quanto timida dietro le nuvole, è un sollievo. Da terra, aiutati dalla brezza, arrivano profumi di essenze arboree. Sullo smartphone i messaggini dei gestori telefonici: sei in Croazia, sei in Slovenia... L’arrivo nel Golfo di Trieste ci regala un po’ di vento che ci permette di andare a vela. Navigare senza il rumore del motore è tutta un’altra cosa. Ci guardiamo attorno: l’orizzonte è pieno di barche che arrivano da tutte le direzioni e sfilano dietro una lunga nave mercantile. Arriviamo a Porto Lido, ospiti della Lega Navale di Trieste. Le banchine sono tutte impegnate e ci si mette in doppia o tripla fila. Ci appoggiamo a un Grand Soleil 35. Da bordo prendono le cime di ormeggio e ci aiutano.

Una città in festa

Dopo 18 ore e mezza di traversata la doccia calda ti fa rinascere. Ci togliamo di dosso il freddo e la salsedine accumulati durante la notte. Torniamo a bordo per mangiare qualcosa. Un piccolo riposino e via a spasso verso il Molo Audace, davanti a piazza Unità d’Italia, cuore pulsante della Barcolana prima della regata. Il “villaggio” è pieno di stand: si mangia, si beve, si fanno acquisti (Alberto cederà alle ripetute lusinghe di un giacchetto...). Ci guardiamo attorno. Si incontrano vecchi amici, si fanno nuove conoscenze. Sembra quasi di far parte di una grande famiglia. E in effetti è un po’ così. La passione per il mare, per la navigazione a vela è un legame forte, che unisce. Condividiamo il senso di libertà che regala l’orizzonte marino. “L’enormità dell’orizzonte è tale che lo sguardo degli occhi arriva fino alle nostre orecchie”... così mi pare dicesse del mare il poeta Tonino Guerra... E condividiamo poi i ritmi lenti, i tanti gesti dell’andar per mare, condizionati dal meteo (vento, correnti, pioggia, nebbia, onde...), quelli che ci restituiscono un po’ della nostra natura, troppo spesso schiacciata dai ritmi di vita di oggi.

La fila per iscriversi

Beh... ma lasciamo stare i pensieri. La concretezza deve far parte del bagaglio di ogni marinaio. E per noi adesso è arrivato il momento di salire sulla navetta che porta a Barcola, poco fuori Trieste, per l’iscrizione. Mentre compiliamo i moduli veniamo intervistati da un giornalista de “Il Piccolo”... Osta, ma siamo così importanti? Ci vorrà più di un’ora di fila, tanto è la ressa. In coda tanti velisti romagnoli che si riconoscono. Luca, istruttore dell’Albatros Rimini, spritz in mano, tiene alto l’umore del suo equipaggio del corso di vela d’altura, con una battuta dietro l’altra. La sera ci concediamo una cenetta a base di pesce in un ristorante coi tavoli all’aperto e poi a nanna, finalmente per un lungo sonno, spezzato solo da un controllo dell’ormeggio verso le tre perché nel frattempo è arrivata la Bora e soffia forte.

L’arrivo della Bora

La mattina dopo Trieste è più bella che mai. La Bora scende dai colli a 20-25 nodi. Il cielo è libero dalle nubi e il sole è forte e scalda. Arrivano altre barche. Una, col motore in avaria, chiede di appoggiarsi alla nostra. Li aiutiamo. Da una barca all’altra è tutto un passaggio di bicchieri, prosecchini, spritz, fette di salame e prosciutto, tocchettini di formaggio... Ma anche cime, cacciaviti o chiavi. Noi abbiamo la cinghia del motore che fa un rumore stridulo. Il meccanico al telefono da Cesenatico ci spiega cosa fare. E’ quasi ora di pranzo ed ecco che arriva il resto dell’equipaggio. Sono partiti poco dopo le cinque del mattino da Rimini: Massimo, l’autista, Elisa, Francesca e Sara. Alberto prepara un bel risottino ma prima c’è da provare il circuito dello spinnaker (la grande vela che si gonfia a prua nelle andature col vento in poppa). Gran parte del lavoro per preparare la barca è andata dietro la sistemazione dello spi. Lo sapremo usare? Sabato, comunque, è il giorno del relax... ma non per tutti. Andrea, con grande spirito di sacrificio, mi accompagna a piedi fare rifornimento prima di gasolio e poi di acqua. Distributore e supermercato non sono proprio dietro l’angolo. Si passeggia e si va a incontrare gli altri amici ormeggiati in centro. La Bora non sembra voler calare. Ci si scambia il numero di telefono coi vicini di barca: se succede qualcosa ci si avvisa.

A cena fra i big della vela

Il centro di Trieste nel frattempo si è riempito di 300-500 mila persone, queste le stime che girano. Il via vai delle persone fra strade e banchine aumenta assieme al traffico whatsapp di messaggi e immagini. Lo spritz in quel chiosco, la birra in quel pub: sono le boe della rotta delle compagnie che si incrociano fra mare e città. Il sole tramonta dietro una splendida Amerigo Vespucci (che all’imbrunire accende le luci tricolore) prima di scivolare dentro il mare. La sera torniamo di nuovo al ristorante della sera prima... Abbiamo prenotato. Qualche tavolo più in là cena Vasco Vascotto, celebrità della vela. Accanto a noi è seduto il riminese Pierpaolo Franchini. L’anno scorso era a bordo di Spirit of Portopiccolo, la barca che ha vinto la regata, un 87 piedi velocissimo. Sarà a bordo anche questa volta. «E voi su che barca siete?», ci chiede. «Noi?...», ci guardiamo negli occhi. «Ma noi siamo su Andronica!», con un’enfasi tale che quasi ci immaginiamo di essere su un maxi yacht da regata anziché su un 37 piedi da crociera... Ma il bello della Barcolana è anche questo: a terra mangiano fianco a fianco velisti di fama e velisti della domenica, in mare veleggiano “fiancata a fiancata” barchine come il sei metri Meteor o yacht da mille metri quadrati di vela.

Il giorno della regata

Finalmente è domenica. Cosa farà la Bora? Da brava triestina, smentendo le previsioni meteo, si “iscrive” anche lei alla 50esima Barcolana. In effetti, non poteva mancare... La giornata si presenta proprio così: sole e cielo terso, vento fra i 15 e i 20 nodi con raffiche fino a 25. Le barche lasciano i moli e si dirigono verso la lunghissima linea di partenza. In cielo volano le Frecce Tricolori. Si viaggia veloci anche solo con la randa. I più prudenti aspettano la partenza per issare il genoa. Io (ma non sono solo) vado oltre... aspetto lo sparo del cannone prima di buttarmi sulla linea di partenza: in passato ho visto troppe collisioni e troppe persone farsi male. Le priorità sono nell’ordine: non farsi male, non danneggiare la barca, divertirsi, fare la regata. Che spettacolo! Il mare è pieno di vele bianche, tutte dirette nella stessa direzione. Scafi sbandati, urla che chiedono la precedenza, parabordi che saltano da una fiancata all’altra per evitare impatti dannosi... Eccoci qua, il momento che sognavamo da tempo: gli occhi pieni di luce e di colori, la pelle accarezzata (energicamente) dal vento, i problemi di tutti i giorni per un po’ in un angolo nascosto della memoria...

Il vento che sparisce

Difficile individuare la prima boa. Massimo, il nostro tattico, trova la posizione e traccia la rotta. Viaggiamo fino a 8 nodi e mezzo e superiamo un po’ di barche. Alla boa gli scafi si riavvicinano. Il mucchio di alberi e vele a dritta non ce la fa vedere ma sappiamo che è lì. Poco dopo una barca che si intraversa viene centrata da altri scafi. Si forma una specie di groviglio, un tamponamento a catena... Passiamo la seconda boa e ci possiamo rilassare un po’. Facciamo uno spuntino. Beviamo un po’ di birra. Ci alterniamo al timone con Alberto e Massimo. Sara scatta foto. Francesca controlla a prua gli incroci. Andrea, Elisa e Giulio tengono d’occhio le scotte di randa e genoa. Ma, in realtà, tutti fanno tutto. Ci lasciamo a dritta una barca che ha spezzato l’albero: chissà come è successo! Ed eccoci finalmente verso Miramare. Il più è fatto! Bene! Ma non abbiamo fatto i conti col vento. Cala improvvisamente e gira contrario alla nostra rotta. Dovremo fare l’ultimo lato bordeggiando (zigzagando) da un lato all’altro per risalire quel flebile venticello che sembra stia per terminare. E così è infatti... Alla radio una barca dietro l’altra annuncia il ritiro. No, eh... proprio adesso che siamo vicini al traguardo! L’anemometro scende fino a segnare 0 nodi di vento. Siamo fermi col boma che sballonzola da una parte all’altra. Quando arriva una bava di vento bisogna sfruttarla fino in fondo confidando nel vento apparente che fa la barca in movimento. L’equipaggio di Andronica, in un estremo gesto di “sacrificio”, si stende sottovento per sbandare la barca e aiutarla in questa sua penosa risalita. E alla fine siamo premiati: mentre la radio annuncia altri ritiri, un filino di “benedetto” vento ci accompagna all’arrivo. Sono più o meno le 3 del pomeriggio. Ce l’abbiamo fatta! Lanciamo un urlo liberatorio, più che altro perché l’ultimo miglio è stata un’agonia. Alla fine lo spi è rimasto nella sacca e siamo 1171esimi... Certo non è un grande risultato. La barca, con un altro skipper, avrebbe fatto meglio. Il nostro amico di Spirit of Portopiccolo è arrivato tre ore e mezza fa. Ma non sono pentito della scelta “conservativa”.

Ritorno a casa e soccorso

Non ci resta che tornare a Porto Lido. Ci accostiamo a un’altra barca. Chi deve sbarcare prepara i bagagli. Andrea cucina un ottimo piatto di spaghetti col tonno e i capperi. Brindiamo e festeggiamo per la bella esperienza vissuta. I viaggiatori di terra si dirigono all’auto e danno un passaggio a un’altra amica che era su un’altra barca. Alberto, Andrea, Giulio ed io ripartiamo per tornare a casa. Sono passate da poco le cinque del pomeriggio. Il vento è assente. Andiamo solo a motore. Ricomincia il buio. Ricominciano i turni, le luci da decifrare, le rotte da prendere, l’umidità... La radio rimanda le comunicazioni fra le barche che sono sulla stessa rotta. Sentiamo anche l’Amerigo Vespucci, in rotta verso Ravenna, che dialoga con un peschereccio. Tutto procede bene. Ma verso le tre arriva una comunicazione via radio. Una barca, sapendo che abbiamo un medico a bordo, ci chiama perché un uomo dell’equipaggio si sente male. Non sono lontani da noi. Ci affianchiamo. Alberto, svegliato dal suo turno di riposo, sale e bordo, studia la situazione e tranquillizza tutti. Niente di grave. Stiamo un’oretta fermi fianco a fianco, in mezzo all’Adriatico, per precauzione, e ripartiamo, tenendoci in contatto radio. Arriva l’alba e con essa il vento. Issiamo le vele, in rotta su Rimini. Man mano che ci avviciniamo vediamo altre barche riminesi sulla strada di casa. Ci salutiamo. Andrea, per ingannare il tempo, si mette a pescare e tira su uno sgombro. La costa è avvolta dalla foschia. Ma il gps ci dice che è lì. Appare il grattacielo. Ecco l’imboccatura. Siamo arrivati. Da adesso in poi le foto e i ricordi.

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