Elogio del moscone

Rimini

In Romagna, quando ancora c’erano i bagnanti e non gli spiaggianti, come negli ultimi decenni, in riva c’erano migliaia di mosconi! Quando ancora l’acqua e non la sabbia era la principale attrattiva, in mare c’erano migliaia di mosconi!

Perché il moscone oltre che una sana remata, offre la possibilità di andare a pescare, di trovare intimità, pace, silenzio e soprattutto acque limpide e profonde. Il moscone è la barca ideale per imparare le principali arti marinaresche: remo, tuffo e nuoto. Qui che non ci sono isole e nemmeno scogli, il moscone è l’unica riva circondata dall’acqua, quella da cui staccarsi non camminando ma nuotando, quella in cui l’incontro con il mare è completo, avvolgente, profondo.

Il moscone è stato per un secolo non solo una semplice e bellissima barchetta balneare, ma una vera e propria icona. Nella prima metà del Novecento era un “mito d’oggi”, parafrasando Roland Barthes. Poi malauguratamente vennero i pedalò (anche se a dire il vero anche la storia di questo natante è molto antica!) e purtroppo negli ultimi anni, complice anche una assurda normativa che vieta l’ormeggio e il rimessaggio, entrambi sono quasi scomparsi. Come è quasi estinta la figura del mosconaio, che insieme al salvataggio e al bagnino, componeva la triade di combattenti balneari o più prosaicamente dei vitelloni.

Ma siamo fiduciosi che il moscone, come tutti i miti, non sia scomparso definitivamente, si è nascosto ai più. Solo pochi adepti ne mantengono viva la forma, la pratica, l’amore, addirittura la devozione. Perché questo rito non rimanga appannaggio di pochi, vediamo di raccontarne brevemente la storia, anche perché questo piccolo catamarano a remi è, al pari della bicicletta con cui condivide l’origine ottocentesca e la fortuna novecentesca, un mezzo ecologico e divertente, che permette una libertà marinaresca alla portata di tutti.

Innanzitutto va chiarita la diatriba linguistica italiana, che potrebbe sottenderne anche la paternità. Moscone o pattino? E’ bene precisare che sono sinonimi e hanno una precisa geografia. Infatti al pari di brodetto e caciucco, entrambe zuppe di pesce, moscone è tipicamente adriatica, mentre pattino è ligure-tirrenica. Nei vocabolari, fino a prova contraria, la parola più antica è pattino, che appare per la prima volta nel 1891. E’ Policarpo Petrocchi che la inserisce nel suo “Novo dizionario universale della lingua italiana”, dove si legge: “PATTINO, s.m. T. mar. Due travi con un panchettino sopra che serve per andarci come in barchetta (P.)”. Se poi si varcano le Alpi e l’orizzonte diventa quello europeo allora si scopre che in Spagna la storia del patin a remos è forse ancora più antica. C’è infatti una testimonianza scritta del 1871, quando in Catalogna, a Barcelloneta, si svolse “una regata de patines a remo (doble pala)”. E alla voce “esquife” nel 1908 sulla Enciclopedia Espasa c’è la foto di un “patín a remos”. Decisamente inferiore è l’attenzione e la pratica del catamaran d’aviron in Francia e del rowing catamaran in Inghilterra. Possiamo solo supporre che le nazioni atlantiche abbiamo conosciuto questa barchetta mediterranea ma non ne abbiano subito il fascino, anche per le oggettive difficoltà balneari dei loro mari.

Ritornando in Italia, la parola moscone viene messa nero su bianco solo nel 1923. E’ lo scrittore Alfredo Panzini, che visse in gioventù a Rimini e trascorse le vacanze a Bellaria, a inserirla nel suo “Dizionario moderno”, nella edizione del 1923, definendolo “galleggiante da spiaggia”. Più articolata la descrizione data nell’edizione del 1950: “Moscone: Chiamano così sul litorale adriatico una specie di piccola imbarcazione per diporto, da spiaggia e per bagno. E’ formato di due galleggianti su cui poggiano uno o due sedili”. Definizione che si completa con una domanda e relativa risposta: “Perché mosconi? Per analogia di aspetto, come ditteri, mosche chiare sull’azzurro del mare”.

Sempre nel 1923 la parola moscone appare anche nella “Guida di Rimini” scritta da Mario Becca che descrive una scena balneare. “Piccole barche dalle pittoresche vele color arancione, accostano sino a riva per caricare numerose comitive di bagnanti che poi trasportano per brevi passeggiate a poca distanza dalla costa, mentre gli agili mosconi scivolano sotto i vigorosi colpi di remo di vogatori dilettanti entusiasti”.

Se le informazioni scritte sono carenti, numerosissime sono foto e cartoline che ne documentano la diffusione già dalla fine dell’Ottocento su tante spiagge italiane. Si vedono mosconi stretti e larghi, con uno o due seggiolini, con o senza prendisole, a due remi o addirittura a quattro. Sui mosconi non si fanno fotografare solo giovani fusti o eleganti signorine, in una varietà d’abiti che racconta anch’essa l’evoluzione dei costumi balneari, ma anche personaggi pubblici, che sul moscone, volontariamente o involontariamente, rivelano un’altra immagine, spensierata e vacanziera.

Sul versante occidentale ci piace ricordare lo scrittore Luigi Pirandello con gli amici sul pattino nel 1933 o il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi da solo a fianco del moscone regalatogli nel 2000 dal Comune di Rimini. Su quello orientale, tra le tante, ne scegliamo due degli anni Trenta, emblematiche di due radicalmente diverse biografie. Sono quelle del pittore Vasilij Kandinsky con la moglie, su un moscone a doppio seggiolino a Cattolica, e di Benito Mussolini, con il figlio Romano e un bagnino, sempre su un moscone a doppio seggiolino a Riccione.

Ci sono poi le storie di chi i mosconi li costruiva e di chi li costruisce ancora, come la Fabbrica Mosconi De Biagi-Magi di Cattolica, secondo la definizione ripresa da un pieghevole degli anni Sessanta. Ma su questo ci torneremo. Per il momento non ci rimane che invitarvi ad andare al mare e, non accontentandosi della spiaggia, cercare un moscone, a noleggio o di un amico, e provare o riprovare a prendere il largo, rinnovando i piaceri del remo e del tuffo.

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