Nessuno voleva assicurare i medici in prima linea contro il virus

RAVENNA - Ritenute una delle chiavi di volta dell’aggressione al virus, sembra ora incredibile che le squadre Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) abbiano incontrato uno dei loro ostacoli più grossi non nell’addestramento ma nella difficoltà di trovare una copertura assicurativa per la loro vita. Ci si è riusciti, con grande fatica, solo a maggio. Il problema davanti al quale si è trovata l’Ausl Romagna non era facile da affrontare: in piena pandemia non c’erano compagnie assicurative disposte a coprire con una polizza la salute dei medici Usca che hanno un rapporto di libera professione con l’azienda.

L‘intoppo

Tutto inizia a fine marzo: sono i giorni più duri dell’epidemia in provincia. I medici di Medicina generale ricevono decine di chiamate e le squadre Usca sono ormai pronte: servono proprio a dare supporto ai colleghi del territorio e curare i pazienti a domicilio con tutte le protezioni necessarie. I casi di coronavirus si moltiplicano: in caso di distress respiratorio non resta che chiamare il 118, così tutto il sistema rischia di andare in crisi. I medici di continuità assistenziale però non possono ancora prendere servizio: in Regione le aziende sanitarie si incontrano ma non si trova la quadra sulle assicurazioni. Non si può naturalmente mandare medici a casa di pazienti Covid positivi senza nessuna copertura. Tutto, così si blocca. Duecento camici bianchi in tutta la Romagna fermi a causa di una difficoltà burocratica.

La prima soluzione

Il 23 marzo l’Ausl decide di estendere ai medici Usca la copertura assicurativa valida per i dipendenti. L’Inail equipara ai fini della definizione di infortunio la causa virulenta a quella violenta e la copertura assicurativa per i dipendenti, garantita nell’ambito del programma “gestione diretta dei sinistri”. Una forzatura in via eccezionale ma necessaria in presenza di un vuoto legislativo sul tema Covid per quanto riguarda i liberi professionisti che hanno rapporti con l’azienda. Le squadre Usca, così, possono partire. Una settimana dopo, però, arriva la doccia fredda: la Regione scrive all’Azienda Sanitaria che gli infortuni Covid non possono essere ricompresi nell’ambito del programma. Si invita pertanto l’Ausl a continuare a cercare polizze assicurative nel mercato. Tutto da rifare

Le difficoltà del mercato

La forma assicurativa resta garantita dalla polizza cumulativa in essere all’Ausl Romagna ma la compagnia non intende andare oltre la classica definizione di infortunio, senza specifiche per il Covid ed è difficile trovare proposte alternative sul mercato. Questo lo scoglio: le polizze infortuni di norma non coprono le malattie. C’è in altre parole una difformità tra l’interpretazione dell’Inail, che considera come detto l’infezione da Covid come infortunio, e il mercato privatistico che la ricomprende nell’ambito delle malattie. La ricerca del broker dell’azienda è perciò lungo e laborioso. Alcune polizze proposte coprono solo i ricoveri (50 euro al giorno di diaria) ma non la morte che, purtroppo, con il coronavirus non è eventualità remota.

La soluzione

Ma quanto vale la vita di un medico? Le linee guida regionali prevedono 775mila euro di indennità in caso di morte, 52 euro di diaria giornaliera in caso di invalidità permanente. Solo a maggio l’impasse è stata risolta stipulando con due diverse compagnie prodotti assicurativi ad hoc: il premio da pagare per assicurare i 200 medici Usca è di circa 370mila euro. Una particolarità: in una delle polizze proposte i costi variano in base all’età dei dottori e non possono essere assicurati i medici over 65. Quelli che rientrano, come ormai risaputo, nella fascia più a rischio. La quasi totalità dei medici Usca è comunque costituito da giovani camici bianchi.

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