«La ripresa c'è, è importante, ma troppi vizi italiani la stanno rallentando». Mauro Neri, presidente di Confcooperative Romagna, vede una reazione alla pandemia robusta, ma disparità e difetti congeniti nel sistema economico e sociale non producono il ritorno che potrebbero: «Ciò che ci sta frenando ora è esattamente ciò su cui dovremmo sforzarci di intervenire per ripartire».
Neri, Confcooperative Romagna ha una base associativa ampia e rappresentativa di vari settori. La ripresa si vede ovunque?
«Certamente vedremo un segno positivo diffuso, ma c'è chi per dimensione non ce l'ha fatta a ripartire. E poi c'è chi potrebbe, per effetto di politiche pubbliche, dare un grande slancio ma non può per motivi oggettivi».
Per esempio?
«In ambito edile: si è ristretta la nostra potenzialità. Nella lunga crisi il numero di imprese è enormemente sceso e così anche il personale formato. E le aziende superstiti col 110% hanno finalmente commesse, ma in alcuni casi non trovano le materie prime. Il ferro, il legno, i materiali coibentati. E' un po' la stessa situazione vissuta durante la crisi sanitaria».
A quale dinamica si riferisce?
«Pensi alla difficoltà, nel momento più difficile della pandemia, a reperire mascherine, camici, guanti. Ora la situazione è la stessa per materie prime e semilavorati in ambito edile: abbiamo perso troppe filiere e chi deve ripartire e ha disponibilità del necessario, se lo tiene. Questo ci deve far riflettere».
Diceva però che non tutti hanno sofferto nella stessa maniera. Chi è stato maggiormente colpito?
«Cultura e mondo del turismo, e anche qui la ripresa non è al massimo del potenziale. C'è grande voglia di bellezza, gli italiani vogliono uscire e allietare un animo ferito da un immenso dramma. Purtroppo però tante piccole e preziose realtà del mondo culturale non ce la fanno a ripartire. E, di per contro, vediamo come gli albergatori riminesi faticano a trovare tutto il personale necessario».
Un problema di mercato del lavoro o economico?
«Semplicemente vediamo l'emergere di un altro limite italiano, storico. La mancanza di un efficace sistema che crei un dialogo fra domanda ed offerta. I navigator non hanno certo colmato questo gap e manchiamo di personale formato su alcuni settori strategici. Anche questo è un asse strategico. Ed è troppo addossato al privato. La specializzazione è giusto che avvenga in azienda, ma una parte della formazione di base dovremmo spostarla sul pubblico».
Molta della vostra base associativa è legata al socio-sanitario. Che situazione vive questo settore?
«E' un comparto sotto stress, che vive un passaggio non semplice. C'è il tema legato al personale: il pubblico ha riaperto le porte e alcune strutture ora ne hanno carenza. E in altri casi, invece, il cambio di mentalità indotto dalla pandemia in molte famiglie ha fatto sì che ora alcuni non si sentano di portare i propri cari in Rsa. Ci sarà un modello da ripensare, assieme, ma abbiamo strutture che sanno come fare assistenza, e bene».
Parlava prima di limiti di sistema, ma sono legati solo a materie prime e mercato del lavoro?
No, temo che per vincere la scommessa del Pnrr dovremo rivedere due grandi aspetti: giustizia e sistema degli appalti. Da un lato c'è bisogno di velocità nel risolvere i contenziosi. Dall'altro i subappalti non sono la soluzione: l'attenzione sulle regole potrebbe non essere altrettanto forte. Bisogna piuttosto agire sulle stazioni appaltanti: non possono essere 37mila. Dobbiamo accentrarle per aumentare competenze ed efficienza».