Nelle gioie e nei dolori delle rimonte c'è tutta la magia del basket

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“Incredibile, ma noi che conosciamo e amiamo questo gioco sappiamo che può succedere”. Si, ha pienamente ragione Paolo Moretti. Chi ama e conosce la pallacanestro sa che l’incredibile può succedere. Sempre. Paradossalmente proprio quando meno te lo aspetti. E la domenica del basket romagnolo di finali “assurdi” conditi da rimonte subite (quella dell’OraSì Ravenna in A2) o fatte (quella dell’Andrea Costa in B) ne ha regalato eccome, spiegando ancora una volta l’eccezionalità della palla a spicchi rispetto alla gran parte delle discipline sportive. Difficile riassumere quanto succeda in quei pochi e pazzi frangenti di partita in dei paradigmi o teoremi generali, perché ogni sfida ha davvero la propria storia. E se alcune derive del gioco, vedi lo sbilanciamento dietro la riga dei 3 punti, o alcuni cambiamenti regolamentari (dai 24” prima al riciclo solo a 14” negli ultimi 2’) hanno favorito questa tendenza “schizofrenica” del basket, è altrettanto vero che da sempre i tifosi amano la palla al cesto proprio per la sua imprevedibilità.

Curioso, poi, come da una stagione all’altra tutto posso cambiare. Prendiamo Ravenna, che ha lo stesso manico dello scorso campionato, interrotto dal Covid quando i bizantini erano da soli in testa alla classifica. Quell’OraSì, sapientemente guidata da Massimo Cancellieri, non sbagliava un colpo e proprio a Mantova con le prodezze di Charles Thomas (unite ad alcuni gentili omaggi dei padroni di casa) colse una delle vittorie più indimenticabili della propria storia. Di quelle che ti danno sicurezza e convinzione piena nei tuoi mezzi. E infatti Ravenna di finali punto a punto non ne sbagliò praticamente uno. Più di 12 mesi dopo ecco andare in scena la nemesi perfetta alla Grana Padano Arena, e non solo, perché di rimonte clamorose in partite condotte e dominate, l’OraSì ne ha subite altre (su tutte quella quasi irrepetibile a Ferrara). Quindi cosa è cambiato? Nulla. Ogni stagione è un registro a sé, primo. Non esistono giocatori sempre vincenti o sempre perdenti, secondo. E nessun allenatore ha il sacro testo della perfettibilità tra le mani, terzo. Neppure Ettore Messina, pensando ad un altro coach che solo pochi giorni fa con la sua Olimpia ha rimontato e scarnificato il povero Bayern, mandandolo fra l’altro in cortocircuito mentale (gara-2 persa male, con espulsione di Trinchieri e accenno di rissa finale). Per inciso lo stesso Bayern che per tutta l’Eurolega aveva fatto delle rimonte negli ultimi 3-4 minuti di partita il proprio marchio di fabbrica.

Del domani non v’è certezza nel basket, per davvero. Poi come amano teorizzare alcuni sconfitta chiama sconfitta e vittoria chiama vittoria, ma la storiella non è cosi semplice, e i momenti di rottura all’interno della stessa stagione ci sono. Vedi come esempio appunto il Bayern, o Ravenna che pure in Campania (Scafati e Napoli) aveva rovesciato le sorti avverse in volata, o la stessa Imola, che prima di domenica veniva da una lunga serie di cocenti delusioni e beffe subite nei testa a testa. Cancellieri nel dopo partita ha chiamato in causa l’arbitraggio troppo permissivo, la mancata crescita dei propri Under e la perdita di bussola del proprio play, non riuscendo a nascondere la comprensibile delusione per l’ennesima vittoria fuggita dalle mani, ma la realtà è che certe situazioni non sono controllabili. E Paolo Moretti, da ex giocatore, lo sa bene: per questo, pur trovandosi dalla parte felice del fronte (quella vincente), non ha costruito chissà quali castelli su meriti tecnici, scelte tattiche o giocate individuali, ma è partito dall’essenza. Il basket è questo. La mania del controllo, l’esasperata importanza data al singolo possesso e l’eccessiva pressione messa ai propri giocatori, tutte caratteristiche di una certa “corrente” tecnica, possono forse favorire lo scatto di certi meccanismi negativi, specie quando non hai la fortuna di allenatore elementi sopra la media, ma poi all’interno del rettangolo di gioco può succedere di tutto. Così domenica Alessandro Banchi, non proprio il ritratto del play d’ordine (proprio lui figlio d’allenatore) che molti hanno caro pensando ai Marzorati e Brunamonti di un tempo, azzecca prima la scelta giusta infilando la tripla del sorpasso (di pura incoscienza) a 6” dal gong, poi pochi istanti dopo rischia di rovinare tutto, prendendosi un sacrosanto tecnico per aver toccato il pallone in mano all’avversario che stava per effettuare la rimessa. Oppure Davide Denegri, uno da 88% in lunetta in stagione, sbaglia due liberi su 4 pesantissimi nel finale esponendo il fianco al sorpasso mantovano. Insomma, il basket è così. Non esistono santoni o sprovveduti e voler vincere non basta, anzi alle volte il troppo volere può trasformarsi in un boomerang. “Il campo non mente”, ama ripetere Paolo Moretti. E’ vero, non mente. Solo che non c’è un giusto o uno sbagliato, un meritato o un demeritato. C’è solo il basket, con la sua imprevedibile e appassionante pazzia.

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