Natalini. Transizione energetica tra ipocrisie e ritardi

Editoriali

Aavaz, il movimento globale che lancia periodicamente petizioni online su temi sensibili, ha avviato recentemente una compagna di raccolta firme contro il colosso petrolifero francese Total, intenzionato a costruire il più grande oleodotto riscaldato al mondo nel cuore dell'Africa. Sfollerà decine di migliaia di famiglie, attraverserà più di 200 fiumi e 12 foreste protette, dove vivono tantissime specie già a rischio di estinzione. In quel contesto naturale, anche una minima perdita di petrolio potrebbe diventare una catastrofe. Gli azionisti dell’oleodotto sostengono che creerà posti di lavoro, ma gli esperti dicono che i posti fissi sarebbero solo 300, a fronte degli enormi danni ambientali e sociali che minaccia di provocare.

Inoltre, rispedirà la regione nel passato dei combustibili fossili, proprio mentre il mondo deve prepararsi a un futuro di energia pulita. La cosa assurda, denuncia Aavaz, è che mentre spinge per l’oleodotto, il capo di Total cerca anche di far passare la sua azienda come leader delle energie pulite. Che ipocrisia! Anche sul versante delle banche le cose non vanno molto meglio. Secondo l’ultimo report di “Rainforest Action Network”, le principali 35 banche d’affari del mondo hanno investito 2.749 miliardi di dollari nel periodo 2017-2019 in oltre 2.100 aziende attive nel ciclo di vita delle energie fossili, con una crescita da 639 miliardi del 2017 a 735 nel 2019.
Grecia e Turchia (entrambe membri della NATO) si contendono, fino al rischio di incidenti armati tra le loro navi militari, le risorse fossili di un tratto del Mar Mediterraneo; Trump ha autorizzato escavazioni ed oleodotti in Alaska, mentre lo scioglimento dei ghiacciai nel Polo Nord apre sia nuove rotte marittime che una corsa inedita allo sfruttamento delle enormi risorse di gas e petrolio che giacciono nei fondali marini.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Per contro, secondo il “Global Trends in Renewable Energy Investment 2020”, i governi e le aziende private hanno investito 2.700 miliardi di dollari nel periodo 2010-2019 nelle energie rinnovabili (escluso l’idroelettrico). Si tratta di una cifra enorme, ma ancora largamente insufficiente, dato che le rinnovabili coprono circa il 12% del fabbisogno energetico globale. “Global trends” ha anche calcolato gli impegni dei governi e delle aziende per il decennio 2020-2030 sul versante delle energie rinnovabili, stimandoli in 1.000 miliardi di dollari, molto meno della metà rispetto al decennio precedente, arrivando alla conclusione che “si tratta di impegni davvero molto lontani rispetto a ciò che sarebbe necessario per mantenere l’incremento delle temperature entro i 2°” (o ancora di più entro 1,5°, come previsto dall’Accordo di Parigi). Quella del clima è una lotta drammatica e complicatissima, perché riguarda tutto e tutti. Come giustamente ricordano Gianni Silvestrini e GB Zorzoli nel loro ultimo libro “Le Trappole del Clima”, è molto più complessa rispetto a quella sul buco dell’ozono (che, grazie all’applicazione dell’accordo di Montreal, verrà assorbito entro il 2050) o della plastica. D’altra parte, la transizione dal modello energetico basato sul carbone (peraltro ancora largamente utilizzato in Europa e nel mondo) e sulla legna al petrolio e al gas ha richiesto oltre cento anni. Per l’attuale transizione energetica ci possiamo permettere un tempo così lungo?
La comunità scientifica e il Pianeta, attraverso la crescita esponenziale degli eventi meteo violenti ed estremi, ci dicono chiaramente di no. Non abbiamo più tempo. Mentre l’emergenza legata al Covid-19 verrà prima o poi superata con nuove cure e il vaccino, quella climatica durerà decenni, e non è detto che ne usciremo vincenti. Anzi, volontà politiche incerte e incoerenti, le tante ipocrisie e sottovalutazioni che aleggiano un po’ ovunque, i concretissimi interessi materiali della filiera delle energie fossili, inducono al pessimismo. Se pensiamo però ad un Pianeta che viaggia verso i 9 miliardi di abitanti, e la relativa crescita della domanda di energia, se guardiamo negli occhi i nostri figli e nipoti provando ad immaginare come potranno vivere in una Terra surriscaldata, abbiamo il dovere di non mollare. Servono però segnali forti, chiari e coerenti, in primo luogo dalla politica. Il superbonus 110% per la riqualificazione energetica (ed antisismica) degli edifici va nella giusta direzione. Ne servono molti altri sul versante della diffusione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in primis dal sole e dal vento.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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