Natalini: la sindrome della rana bollita

Editoriali

Sapete cosa succede se mettete una rana in una pentola con l’acqua che sta bollendo? Salta fuori e scappa. Sapete cosa succede invece se la mettete in una pentola con dell’acqua fredda e un po’ alla volta alzate la temperatura? In questo caso la rana rimane tranquilla. Il suo corpo si adatta alla nuova temperatura che gradualmente aumenta. Poi, quando scopre che sta bollendo, è già troppo tardi. La rana ha utilizzato tutte le sue forze per regolare la propria temperatura corporea, è debole e non riesce più a saltare. Così muore nella pentola senza nemmeno cercare di scappare.

La sindrome della rana bollita è una metafora perfetta per capire la sottovalutazione drammatica dei pericoli incombenti che si è verificata in passato (si pensi all’avvento al potere di Hitler a fine gennaio del 1933, o alle avvisaglie delle crisi finanziarie del 1929 o del 2008). Ed è una metafora perfetta per comprendere la sottovalutazione sistematica che la specie umana sta compiendo nei confronti dell’ambiente in cui vive. La reazione di panico verso paure immediate di tipo planetario come quelle scatenate in questi giorni dal corona virus (comprensibili, ma irrazionali) corrisponde alla rana che reagisce immediatamente all’acqua bollente, ma che dire del lento adattamento della specie umana alle devastazioni ambientali e climatiche causate da un modello di produzione e consumo basato sul presupposto, del tutto falso, che le risorse del Pianeta sono infinite?
Per evitare di fare la fine della rana bollita dobbiamo diventare tutti più consapevoli e coinvolti, ogni giorno, nella transizione verso un nuovo modello economico-ecologico, che peraltro costituisce la stella polare delle politiche dell’Unione Europea per il prossimo decennio. Queste politiche identificano nei territori (nel gergo europeo sono i così detti NUTS 3, ossia le province) l’ambito di governance e di applicazione. Esse però dovrebbero essere supportate da una nuova cultura, da nuovi paradigmi di riferimento, da alimentare anche con buone letture. Al riguardo suggerisco il libro “Natura in bancarotta” degli svedesi Johan Rockström e Anders Wijkman. E’ un libro pubblicato nel 2014, ma ancora straordinariamente attuale.
Natura in bancarotta propone un nuovo approccio alla sostenibilità. Invece di concentrarsi su un unico aspetto, come di solito avviene, gli autori individuano i nove sistemi che consentono al nostro pianeta di funzionare e sostentarci, e per ognuno propongono un “confine” da non superare se non vogliamo innescare retroazioni pericolose.
I nove sistemi (e i relativi limiti) planetari che la nostra specie dovrebbe fare di tutto per custodire (e quindi non superare) sono: cambiamento climatico; riduzione dello strato di ozono; aerosol atmosferici; acidificazione degli oceani; uso delle riserve di acqua dolce; inquinamento da sostanze chimiche; variazione nell’uso dei suoli; perdita di biodiversità; ciclo dell’azoto; ciclo del fosforo. Purtroppo abbiamo già superato i limiti di sicurezza relativi al clima, biodiversità e azoto.
Per invertire la rotta servono modelli di business alternativi e un’economia circolare basata su riuso, ricondizionamento e riciclo. Ci sono molti modi per avviare la transizione globale verso la sostenibilità, ma queste azioni, da sole, non bastano. Nell’Antropocene, ossia l’era nella quale gli esseri umani sono diventati la forza geologica più importante sulla Terra, dobbiamo adottare strategie di “custodia del pianeta” che si costruiscono tanto lasciando spazio alle iniziative “dal basso” quanto attraverso una efficace governance “dall’alto”. Questi discorsi dicono probabilmente poco a chi ha il problema impellente della sopravvivenza quotidiana, ossia ai miliardi di essere umani affamati, poveri o di poco al di sopra della soglia di povertà nonché a chi cerca lavoro o vive in povertà relativa, nonostante abbia un lavoro, nel mondo occidentale. Qui si colloca la nuova sfida per i progressisti di tutto il mondo: fare della custodia del Pianeta (da tradurre concretamente in progetti in ogni territorio, in ogni comune, in ogni quartiere, azienda e casa) il nuovo fondamento e paradigma della nuova economia e dell’occupazione di questo secolo. Ce la possiamo fare, ce ci crediamo realmente e se lo vogliamo: in Europa è nata nella seconda metà del Settecento la rivoluzione industriale basata sul carbone (e quindi sul vapore); l’Europa, se unita, può indicare oggi al mondo la strada per una nuova economia ecologica, e quindi la strada per un futuro sicuro per il genere umano su questo Pianeta.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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