Natalini: servono una politica estera e una forza militare dell'Ue

Le drammatiche vicende di questi giorni, che vedono un popolo senza Stato (quello curdo, composto da 22-23 milioni di persone disperse in 4-5 stati a seguito dell’iniqua spartizione delle spoglie dell’Impero Ottomano di un secolo fa) aggredito dal secondo esercito più potente della NATO (quello turco) nel nord della Siria, rivelano ancora una volta quanto sia urgente che l’Unione Europea si doti di una politica estera e di una forza militare comune. Altrimenti le sue parole di condanna, gli embarghi nella vendita di armi, le sanzioni economiche o quant’altro avranno un effetto molto limitato. Già nel drammatico conflitto degli anni ’90 nell’ex-Jugoslavia era emersa in tutta la sua evidenza l’irrilevanza dell’UE, gigante economico ma ancora nano politico e militare.

I curdi hanno combattuto sul terreno, città per città, casa per casa, contro i tagliagole dell’ISIS. In 11 mila hanno sacrificato la loro vita contro l’oscurantismo sanguinario del Califfato. Hanno combattuto anche per noi, per la nostra sicurezza e libertà in Europa. Adesso grazie agli attacchi dei turchi, migliaia di combattenti dell’ISIS, che i curdi avevano catturato e imprigionato, stanno ritornando in circolazione, e potremmo ritrovarceli a compiere attentati nelle nostre città. Ancora una volta, dopo averli usati, l’Occidente (in primis l’America di Trump) li ha traditi. I curdi e le donne curde, straordinarie combattenti, potrebbero difendersi anche da soli sul terreno, ma non possono nulla contro i bombardamenti degli aerei della Turchia. Per questo avevano chiesto l’istituzione di una no-fly zone. Se questa decisione fosse stata adottata dall’ONU, chi poi l’avrebbe fatta rispettare?
L’Unione Europea come tale, su questo piano, non esiste.
In Europa sono nati, sotto la spinta del veleno del nazionalismo, gli unici due conflitti mondiali che la storia abbia conosciuto. Per cui la prudenza, la riluttanza (in primis della Germania) ad impegnarsi in conflitti militari è d’obbligo. Peraltro gli Stati Europei militarmente più attivi, la Francia e la Gran Bretagna, possessori di armi atomiche e membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, quando hanno agito anche di recente di testa loro (ad esempio quando i francesi hanno bombardato la Libia per accelerare la caduta di Gheddafi, spalleggiati dagli aerei britannici) hanno combinato solo guai.
E’ evidente, però, che se l’Unione Europea come tale vuole contare realmente nelle vicende del mondo contemporaneo e avere un reale potere di dissuasione nei confronti del tiranno di turno, in questo caso il presidente della Turchia Erdogan, accanto al pacifico soft power che deve continuare a sviluppare ed esercitare nel mondo (per esempio come leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico o dei diritti delle persone), deve dotarsi di una politica estera e di una forza militare comune.
D’altra parte, è stato calcolato che se i 28 eserciti e i 28 bilanci per la difesa fossero unificati si avrebbe un risparmio di 120 miliardi di euro€ e sicuramente un’indipendenza militare maggiore rispetto agli Stati Uniti, il cui interesse strategico peraltro si sta spostando da anni dall’Atlantico verso il Pacifico e che con Trump persegue gli interessi dell’America First, fregandosene dei suoi alleati europei.
L’Europa delle origini cercò già agli inizi degli anni ’50 con la CED-Comunità Europea di Difesa di dotarsi di una forza militare comune. Il tentativo fallì perché il Parlamento francese rinviò il 30 agosto del 1954 a data da destinarsi l’approvazione del Trattato istitutivo della CED medesima. Poi non se ne fece più nulla. Le ragioni furono molteplici, in primis la paura dei francesi che la CED diventasse il format per un riarmo tedesco. Pesò anche la riluttanza italiana (purtroppo De Gasperi non era più al governo e morì appena 11 giorni prima del voto francese): mentre Olanda, Lussemburgo, Belgio e soprattutto la Germania avevano già approvato la CED, la nostra decisione fu rinviata a dopo il voto francese, e concorse probabilmente al suo esito negativo.
Tutti coloro che in Europa, a partire dai sovranisti nostrani, non hanno ancora preso coscienza dei reali rapporti di forza nel mondo contemporaneo, dovrebbero leggere e rileggere la lapidaria frase di Franz Timmermans, primo vice-presidente esecutivo della Commissione Europea: “Vi sono due tipi di Stati membri: quelli piccoli e quelli che non si sono ancora resi conto di essere piccoli”. E anche appenderla, come monito permanente, alle pareti dei loro uffici.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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