Natalini: la politica fra Sovranismo e Globalismo

Editoriali

Intervenendo alcune settimane orsono all’ONU, il presidente degli USA Donald Trump ha dichiarato che la nostra è l’epoca dei patrioti, dei sovranisti, non dei globalisti. Ha vinto tre anni fa le elezioni americane con lo slogan “America First” (in realtà Hillary Clinton, a proposito di rispetto della volontà popolare, aveva preso circa due milioni di voti in più; è il particolare sistema elettorale americano, per cui sono gli Stati ad eleggere il presidente e non direttamente gli elettori, che ha consegnato la vittoria a Trump).

Una delle applicazioni più vistose dell’America First è la guerra commerciale che Trump ha scatenato non solo verso la Cina ma anche verso noi europei, Italia inclusa, penalizzando di recente vari nostri prodotti tipici. La guerra commerciale è una delle cause principali del rallentamento della crescita economica internazionale, che rischia di provocare una nuova grave recessione di cui il nostro Paese subirebbe durissime conseguenze, senza peraltro essere ancora del tutto uscito dalla crisi precedente. Nonostante i risultati per noi molto penalizzanti del sovranismo applicato dalla super-potenza americana, Trump gode dell’ammirazione dei patrioti-sovranisti nostrani (Salvini, Meloni): lui sì che sa difendere gli interessi del proprio popolo! Ma siamo sicuri che sia così?
Un importante geografo tedesco dell’Ottocento ha osservato che gli imperi in ascesa costruiscono strade, quelli in declino costruiscono i muri. Trump, con il suo neo-isolazionismo americano (i dazi, il muro contro gli immigrati, il disinteresse e il disprezzo per le relazioni e le istituzioni multi-laterali, tra cui l’Unione Europea), sembra più l’amministratore del declino americano di fronte all’emergere della super-potenza cinese (si pensi al progetto egemonico della Via della Seta: mille miliardi per collegare l’Asia all’Europa. Altro che muri!), piuttosto che un leader proiettato verso il futuro. Provate a paragonarlo con l’epopea della “nuova frontiera” di JF Kennedy.
E l’Europa? Il riposizionamento americano in chiave isolazionistica (si pensi anche alla vicenda siriana) apre uno spazio geo-politico enorme a noi europei, ma per coprirlo dovremmo puntare con decisione verso l’Unione politica del nostro continente, in una prospettiva federale. Gli italiani che plaudono entusiasti e votano (vedi Umbria) Salvini e Meloni sembrano invece fortemente attratti dall’illusione che un’Italia sovranista possa finalmente rilanciare una prospettiva di crescita, di sviluppo, di lavoro, in primo luogo per i giovani.
Chi in Europa ha portato l’opzione sovranista alle estreme conseguenze, ossia i britannici con la Brexit, ai quali è stata raccontata da abili demagoghi l’illusione di ritrovare la grandezza passata del fu impero britannico una volta usciti dall’UE, rischia di ritrovarsi con l’incubo delle code di camion alle frontiere, sui porti della Manica, tra Calais e Dover, per consegnare le merci da e per il continente. Le guerre doganali aizzate dai vari sovranisti in giro per il mondo e il ritorno alle code alle frontiere sono il nostro futuro desiderabile? Il nazionalismo otto-novecentesco, alla radice di due spaventose guerre mondiali, è la risposta alle sfide complesse del XXI secolo?
Nel 1988, a vent’anni dall’abolizione delle tariffe doganali interne previste dal Trattato CEE firmato a Roma nel 1957, fu condotta una ricerca molto approfondita sui “Costi della non-Europa”, promossa dalla Commissione Europea presieduta dal francese Jacques Delors. Sotto la direzione dell’italiano Paolo Cecchini, compito della ricerca fu analizzare gli ostacoli posti dalle barriere non-tariffarie alla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali all’interno della Comunità Europea (allora si chiamava così). Ebbene quella ricerca rigorosa arrivò alla conclusione che le barriere non-tariffarie (ad esempio: le barriere fisiche, ossia i controlli alle frontiere intracomunitarie con i relativi ritardi e con le duplicazioni della documentazione richiesta; le barriere tecniche, ad esempio l’obbligo per l’esportatore di beni e servizi di soddisfare normative tecniche nazionali divergenti, e così via) costava alle imprese e ai consumatori 200 miliardi di ECU, circa 150 miliardi di euro, pari al 2% del PIL europeo.
L’ECU-European Currency Unit, in assenza di una moneta comune europea (l’Euro arriverà fisicamente solo nel 2002), costituiva all’epoca un’unità convenzionale di conto a livello europeo. Chi grida “prima gli italiani” e “orgoglio italiano”, chi vuole la “coalizione degli italiani”, dovrebbe ricordarsi la legge della terza dinamica in fisica in base alla quale ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Provate ad immaginare un’Europa in cui in ciascun Paese prevalgano movimenti all’insegna del “prima i francesi”, “prima i tedeschi”, “prima i finlandesi” ecc. . Vi sentireste tranquilli, per voi, i vostri figli e nipoti?
Il patriota è colui che ama la propria patria ed è disposto a fare sacrifici per essa, non colui che deve avere per forza nemici esterni su cui scaricare le proprie frustrazioni e paure ed affermare il proprio patriottismo identitario. Personalmente sono molto orgoglioso di essere italiano, ma proprio per questo mi sento anche europeo, e nel mondo globalizzato, che certo deve avere delle nuove regole che oggi non ha, vedo più opportunità che minacce.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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