Natalini: giornata del ricordo ed Europa

Editoriali

Chi frequenta per lavoro o turismo l’Istria, il Quarnaro e la Dalmazia si sarà reso conto che il confine tra Italia e Slovenia da anni può essere attraversato liberamente, senza controlli alle frontiere, che invece persistono ancora tra Slovenia e Croazia, in attesa che anche quest’ultima sia inclusa nell’accordo di Schengen. Sette degli otto requisiti tecnici da rispettare per il suo ingresso sono stati soddisfatti. La decisione finale spetterà al Consiglio Europeo (ossia al vertice dei capi di stato e di governo dell’UE), e qui nulla è scontato.

La decisione, infatti, dovrà essere presa all’unanimità ed essa sarà influenzata dagli impulsi sovranisti, di cui il ripristino dei controlli dei confini è un pilastro, riemersi negli ultimi anni in Europa. In ogni caso, prima o poi la Croazia entrerà nello spazio di libera circolazione delle persone senza controlli alle frontiere. A quel punto per ognuno di noi sarà più facile e semplice viaggiare nell’Istria slovena e croata, visitare le bellissime cittadine istriane e le coste del Quarnaro e della Dalmazia, per circa un quarto di secolo appartenute all’Italia. Le quattro libertà (la libera circolazione delle persone, inclusa la possibilità di insediarsi in un altro stato membro per ragioni di lavoro, delle merci, dei servizi e dei capitali) assicurate dalla comune appartenenza all’Unione Europea (la Slovenia è membro dell’UE dal 2004; la Croazia dal 2007) forniscono la cornice giuridica e politico-istituzionale ideale per fare oggi dell’intera Venezia-Giulia un’area di cooperazione economica e culturale, in cui tutte le etnie, culture e lingue possano vicendevolmente arricchirsi e sentirsi a casa e rispettate. La regione transfrontaliera, tra l’altro, negli ultimi 20 anni è stata coinvolta in centinaia di progetti di cooperazione territoriale finanziati dai vari programmi Interreg dell’UE. E’ in atto, quindi, una ricomposizione unitaria e pacifica di tipo transfrontaliero della Venezia-Giulia, già largamente visibile; a chi, ad esempio, è capitato di recarsi a Pola, sarà rimasto piacevolmente sorpreso dall’ascoltare nel mercato coperto della città donne adibite alla vendita di frutta e verdura alternare il dialetto istro-veneto, l’italiano, il croato, rispecchiando l’identità plurima dell’Istria. In tale contesto, che senso deve avere la giornata del ricordo celebrata, come ogni anno, il 10 febbraio?
L’obiettivo di tale giornata, istituita con la legge 92 del 30 marzo 2004, è «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Il grande merito di questa legge è l’aver portato alla ribalta nazionale una vicenda colpevolmente ignorata per decenni, perfino nei manuali di storia. Tale giornata, però, non deve in alcun modo essere un pretesto per alimentare di nuovo le spinte nazionalistiche tipiche dell’estrema destra italiana (a cui peraltro corrispondono spinte uguali e contrarie degli ambienti di destra ultra-nazionalistici sloveni e soprattutto croati). “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”, ha scritto Marx. La farsa di oggi è la strumentalizzazione compiuta dagli eredi del fascismo della tragedia delle foibe e dell’esodo, tacendo sui crimini del fascismo medesimo nei confronti delle popolazioni slave: la chiusura delle scuole slovene e croate compiuta a metà degli anni ‘20; l’italianizzazione forzata dei cognomi slavi e della toponomastica; il divieto di parlare in pubblico nella propria lingua, perfino nelle messe in Chiesa, fino all’epilogo dell’invasione e dell’occupazione militare avviata nel 1941 costata 300 mila morti, interi villaggi dati alle fiamme, migliaia di civili morti di stenti nei nostri campi di concentramento (ad esempio nell’isola di Arbe, l’attuale Rab). Non avendo fatto un lavoro sulla memoria dei crimini commessi da noi italiani analogo a quello compiuto dalla Germania, i buchi neri della nostra storia sono diffusamente ignorati. A questo nazionalismo cieco ha fatto poi seguito quello delle milizie partigiane di Tito, il cui disegno era chiarissimo: inglobare nella nuova Jugoslavia comunista tutta la Venezia-Giulia, Trieste e Gorizia incluse, e far fuori tutti gli elementi “nemici del popolo”, a partire dagli italiani arbitrariamente identificati come tutti complici del fascismo. L’orrore delle foibe, che non deve comunque avere alcuna giustificazione, nasce in questo contesto. Il giorno del ricordo, pertanto, dovrebbe essere rivolto sia a ridare la giusta dignità e riconoscimento agli italiani (e a coloro che sono diventati italiani per scelta) che hanno sofferto le pene insanabili dell’esodo e dell’esilio, che a far comprendere soprattutto alle nuove generazioni come il nazionalismo (che non va mai confuso con il sano patriottismo) generi odi, divisioni, conflitti, vittime innocenti. Il giorno del ricordo, in altre parole, dovrebbe essere un monito perenne e solenne contro tutti i nazionalismi del passato, del presente e del futuro, in nome dell’Europa unita da costruire con fatica giorno dopo giorno.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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