Natalini: Europa, uniti o perdiamo tutti

Ricorre oggi 9 maggio 2020 il 70esimo anniversario della Dichiarazione di Robert Schuman con la quale, l’allora ministro degli esteri della Francia propose di “mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea…”
L’idea guida, straordinariamente attuale anche oggi, di tale Dichiarazione è che “L’Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”

Se con il celebre Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nell’estate del 1941, in un’Europa ancora dominata dal nazismo, avevano indicato l’obiettivo di un’Europa unita che sarebbe dovuta sorgere dalle macerie della seconda guerra mondiale, Schuman (ispirato da Jean Monnet) indica un percorso concreto e graduale per raggiungere tale obiettivo. Nasce così, attorno al principio cardine delle solidarietà di fatto da gestire attraverso organismi sovranazionali, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1952), seguita dalla Comunità Economica Europea (1957), poi trasformatesi in Unione Europea (1993). Dai 6 paesi fondatori della CECA e della CEE, si è arrivati a 27 stati membri (dopo l’uscita del Regno Unito con la Brexit), mentre altri 4 o 5 Stati dei Balcani premono per entrare nell’UE. Jean Monnet nell’agosto 1943 ammoniva: «Non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale […] gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione». Se oggi si discute sempre più frequentemente nei talk show, sui giornali, nel dibattito pubblico in generale di Europa (ossia di Unione Europea), ciò è testimonianza ad un tempo del suo successo e dei suoi limiti. C’è una diffusa domanda, più o meno consapevole, da parte dei cittadini di una protezione europea, di un ruolo più incisivo dell’Europa per fronteggiare le sfide del mondo contemporaneo (su tutti, oggi, la pandemia da Covid-19 e le sue disastrose conseguenze economiche e sociali), e nel contempo una delusione per il riaffiorare di quegli egoismi nazionali contro cui hanno combattuto i padri fondatori dell’Europa unita. Si pensi, al riguardo, al recente pronunciamento della Corte Costituzionale tedesca che ha perentoriamente chiesto alla BCE di fornire spiegazioni, entro 3 mesi, sull’acquisto massiccio di titoli del debito pubblico (in primis italiani, ma non solo i nostri), pur riconoscendone la legittimità. Intendiamoci: la Corte non è un organo politico, e quindi non rappresenta la volontà politica della Germania, espressa dal Parlamento e dal Governo. Hanno chiara questa distinzione i sovranisti-nazionalisti nostrani, che hanno subito tuonato contro la Germania, come se fosse un unico blocco granitico? Però è indicativo dello spirito dei tempi. Il pronunciamento è originato da una causa intentata nel 2015 contro le politiche monetarie di Draghi da uno dei fondatori, poi uscito, di Alternative fuer Deutchland, il partito tedesco di estrema destra alleato di Salvini. Se anche dalla Germania, il paese diventato ancora più ricco e potente grazie all’UE e all’euro, arrivano impulsi di segno così egoista e sovranista, ancorché da un organo non politico, allora il processo storico di unificazione europea può subire contraccolpi pesantissimi. A quel punto significherebbe che la storia europea degli ultimi 100 anni non ha insegnato nulla, in primo luogo alla Germania. Per risollevare un’Europa che perderà quest’anno il 7,5% di PIL, oggi servono più che mai quelle solidarietà di fatto perseguite tenacemente dai padri fondatori dell’Europa unita. La stessa solidarietà di cui godette la Germania agli inizi degli anni ’50 quando le fu condonato metà del suo debito di guerra dai suoi creditori, tra cui l’Italia. Se da questa crisi uscirà un’Europa ancora più diseguale e frammentata tra stati, regioni, territori e classi sociali, avremo perso tutti, anche i tedeschi. Il processo di integrazione europea, tuttavia, è molto più forte di quanto a volte appaia. La BCE ha già rivendicato la propria indipendenza e affermato che l’unica giurisdizione a cui è sottoposta è quella della Corte di Giustizia Europea, non quella della Germania.

*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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