Natalini. 100 città europee a neutralità climatica

Editoriali

Un gruppo di esperti indipendenti, incaricati dalla Commissione Europea, ha proposto nel settembre scorso l’adozione di una missione specifica nell’ambito del programma di ricerca UE “Horizon 2021-2027” denominata “100 città a neutralità climatica entro il 2030 – con e per i cittadini”.

Il punto di partenza della missione è assai eloquente: le città coprono il 3% della superfice terrestre ma producono il 72% di tutte le emissioni globali di gas ad effetto serra. Non solo: crescono molto rapidamente, e si stima che entro il 2050 l’85% degli europei vivrà in città.
Gli ambiti urbani, pertanto, sono al tempo stesso l’origine e la soluzione del problema, e la crisi climatica deve essere affrontata in primo luogo dalle città e dai loro abitanti. Lo scopo della missione è sostenere, promuovere e mettere in mostra 100 città europee nella loro trasformazione sistemica verso la neutralità climatica, rendendole degli hub di innovazione e quindi dei punti di riferimento e traino per centinaia di altre città europee, che trarranno ispirazioni e insegnamenti dalle idee e soluzioni messe a punto attraverso la missione medesima. In questo senso, l’iniziativa è molto di più rispetto a un programma tradizionale di ricerca e innovazione. Il principale ostacolo, infatti, alla transizione climatica non è la mancanza di tecnologie intelligenti e amiche del clima, ma la capacità dei sistemi umani di adottarle ed implementarle. L’attuale forma di governance per compartimenti stagni dell’amministrazione pubblica, disegnata e sviluppata per l’operatività e i servizi di una città tradizionale, non può condurci ad una transizione climatica ambiziosa. Il Comune di Rimini, ad esempio, fu uno dei primi a adottare in Italia un regolamento sulla bioedilizia, ma questo approccio rimase isolato, non fu parte di una politica organica e trasversale ai vari settori. Poiché è urgente oggi una trasformazione sistemica, un salto di paradigma dal ciclo storico del fossile e dell’economia lineare, su cui si sono fondati 200 anni di sviluppo economico, all’energia rinnovabile ed all’economia circolare, serve a tutti i livelli un approccio più visionario, strategico, olistico e di lungo termine, insieme ad una nuova governance, integrata e multilivello. Questo modello richiede un forte impegno da parte delle città e delle loro leadership politiche per innovare l’amministrazione e coinvolgere tutti i portatori di interessi, gli operatori economici, le università e la società civile. La missione europea si baserà su uno strumento nuovo, il “Climate City Contract”, che dovrà essere firmato dal sindaco (per conto dell’amministrazione comunale e dei portatori di interesse locali), dalla Commissione Europea e dalle autorità nazionali e locali. Una precondizione per la firma del Contratto è che ai cittadini venga assegnato un ruolo attivo, attraverso la creazione di nuove piattaforme e l’assegnazione di risorse (almeno l’1% dei fondi elargiti dall’UE alle città che sottoscriveranno il contratto). Le città che intendono partecipare al programma devono presentare una strategia credibile, nella forma di un PAESC-Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima per raggiungere la neutralità climatica entro il 2030, con 20 anni di anticipo rispetto al target europeo del 2050. Le città, con almeno 50.000 abitanti, saranno selezionate attraverso un bando competitivo, articolato su tre livelli di ingresso: 1) città ad uno stadio iniziale, con una preparazione bassa; 2) città mediamente esperte, con un livello medio di preparazione; 3) le città “frontrunner”, ossia le più avanzate e con un grado elevato di preparazione. L’investimento stimato per ciascun abitante per rendere una città a neutralità climatica entro il 2030 è di 10.000 € (nel caso di Rimini o Ravenna, se si candidassero, circa 1,4 miliardi). Le risorse verranno dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dell’UE e dal Next Generation EU, che sono però al momento paralizzati dal veto dei governi populisti e nazionalisti della Polonia e dell’Ungheria che rifiutano la condizionalità del rispetto dello stato di diritto, pilastro della democrazia liberale europea, e che poi dovranno comunque essere approvati dai parlamenti nazionali dei 27 stati membri. In ogni caso, temo che siano pochissime se non nessuna le città della nostra regione in grado di raggiungere credibilmente la neutralità climatica entro i prossimi 10 anni. Siamo avanti in molti campi, ma sicuramente non nella transizione energetica ed ecologica, i cui effetti negativi, tra gli altri, si riflettono nella pessima qualità dell’aria. Nella sentenza di condanna emessa il 10 novembre dalla Corte di Giustizia Europea nei confronti dell’Italia per aver superato gli sforamenti consentiti dalla Direttiva UE 2008/50/EC sulla qualità dell’aria per quanto attiene il diossido di zolfo, diossido di azoto, ossidi di azoto, particolati e piombo (tutte sostanze cancerogene e probabilmente facilitanti la diffusione del Covid-19), l’Emilia-Romagna è esplicitamente citata come uno dei territori italiani in cui quello sforamento è avvenuto. Peccato che queste sostanze inquinanti e pericolose il nostro occhio nudo non sia in grado di vederle, perché allora sì che avremmo molto più chiaro chi sono gli “ecomostri” da cui guardarci, e non gli impianti di fonti rinnovabili, siano essi fotovoltaici od eolici, che sono, invece, parte della soluzione, e la cui rapida diffusione dovremmo rivendicare ed auspicare con forza, perseguendo la massima armonizzazione possibile con il paesaggio, che comunque è già, e sarà in futuro, in gran parte il risultato delle continue trasformazioni operate dalle attività umane.
*Esperto di istituzioni, politiche e programmi dell’UE

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