Nadia Urbinati e l'Europa nazionalista: conferenza a Forlì

Si avvicinano a grandi passi le giornate del “900 Fest” di Forlì: la Fondazione Albert Lewin vi ha invitato, fra gli altri, anche Nadia Urbinati, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York, saggista e collaboratrice di diverse testate fra cui “Domani”. A Forlì Urbinati interverrà il 29 ottobre (ore 15) in Salone comunale con Michael Walzer, Nicolas Werth, Vittorio Emanuele Parsi, David Ost e Guido Montani su Fascismi e internazionalismo democratico.

«Il fascismo come ideologia non è mai scomparso – afferma senza mezzi termini la studiosa riminese – tant’è che in Italia alcuni movimenti politici hanno fatto campagna elettorale prima, e poi conquistato seggi in Parlamento con quell’idea di base. Il fatto nuovo, semmai, è che il fenomeno non è legato alla specificità di paesi isolati, ma è ben più ampio e accomuna singoli e gruppi ideologici come si è visto per i sostenitori di Trump che hanno finanziato a livello mondiale movimenti reazionari».

E in Europa?

«Qui si è sviluppato un forte sovranismo contro Bruxelles, anche se dopo la Brexit e i suoi effetti iniziano a sorgere dubbi sul procedere da soli, che porta a rimanere schiacciati. Ora si auspica quindi un’Europa che sia protezione dei singoli Stati: ma l’Europa non è una mangiatoia, e non può piacerci solo quando ci assicura diritti come la partecipazione al Pnrr!».

Eppure forse qualche mal di pancia nasce anche da una certa severità delle istituzioni europee.

«Dare loro responsabilità della fragilità di certi paesi come la Grecia è un errore mentre spesso sono gli interessi nazionali a tentare di travalicare il bene comune. Comunque quello che davvero non mi piace è l’Europa nazionalista: e una Meloni che sostiene che bisogna rivedere certe regole comunitarie perché i nostri interessi “vengono prima”, in fondo non fa altro che manipolare e falsare la realtà».

Siamo lontani quindi da un’Europa unita nelle grandi sfide.

«I nazionalismi stanno allontanando sempre di più l’idea di una federazione europea. Né Orban né Meloni ma neanche Svezia, Polonia o Germania vogliono davvero una politica comunitaria, infatti quando emergono problemi come la pandemia si vede bene che l’Europa delle nazioni è nulla».

Il quadro attuale la preoccupa?

«Certo: in situazioni del genere i fascismi hanno molto ossigeno, e con una guerra in atto ognuno è abbarbicato al proprio interesse nazionale. Anche le sanzioni nei confronti della Russia hanno poco valore di fronte al fatto che l’Europa ha bisogno di gas e la Russia ne esporta… e si avvicina l’inverno. Tutto va insomma verso una deriva autoritaria che mi fa sempre pensare alle parole di Umberto Eco sull’“ur-fascismo” con i suoi 14 archetipi. Oggi alcuni di essi sono più ossigenati, ma proprio grazie all’Europa non credo che provocheranno disastri istituzionali. Altri sono dormienti, ma le forme di intolleranza che vediamo anche in Italia verso le minoranze – solo perché esistono, perché non conformi a una italianità che non si sa cosa sia – sono arbitrii davanti a cui tacere o adeguarsi: e questo, per me, è fascismo».

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